Il ragionamento, Beppe Grillo, lo aveva già fatto nei suoi colloqui privati durante l'ultimo blitz a Roma, il 17 dicembre. E suona così: «Se proprio non possiamo evitare che escano dal M5s, almeno facciamo sì che continuino a sostenere il governo». Segue l'imperativo: «Conte deve andare avanti, se andiamo al voto ci estinguiamo». Mentre il capo politico Luigi Di Maio, controvoglia, è costretto ad occuparsi delle crisi internazionali in Libia e Iraq, il fondatore è tornato a prendersi cura della sua creatura. Occupando il vuoto di potere lasciato da un leader senza più legittimazione interna e da un Davide Casaleggio che, giorno dopo giorno, sente il fiato sul collo delle proteste dei parlamentari contro le ingerenze dell'Associazione Rousseau. Resta «Beppe». Nonostante le parole di fuoco di Di Maio e soci sulla necessità di punire con durezza i riottosi, la strategia del Garante è tutta sulla difensiva.
Anche ieri, il giorno prima della riunione plenaria dei gruppi parlamentari, Grillo ha fatto arrivare il suo messaggio ai tanti che vogliono uscire. La riflessione è speculare a quella confidata agli amici una ventina di giorni fa, fatta intendere in questi termini davanti ai cronisti: «Non posso convincere nessuno a restare nel M5s». Ciò che si può fare, però, è puntellare il governo a tutti i costi. Invitando i fuggitivi a entrare nel Misto per continuare ad appoggiare i giallorossi. La paura è un esodo verso la Lega, o comunque un riposizionamento all'opposizione di alcuni tra gli scontenti. Soprattutto al Senato, dove ogni defezione rischia di far traballare l'esecutivo. Per Grillo, Conte e i ministri M5s lo spauracchio è la forza attrattiva del partito di Salvini, che sta raccogliendo adesioni anche al di fuori del Parlamento. Particolarmente clamoroso il passaggio al Carroccio di Eleonora Cimbro, ex deputata lombarda della sinistra di Mdp-Leu.
Perciò sono tenute sotto osservazione le mosse di qualche senatore, alla prima legislatura, sospettato di volersi appuntare al petto la spilla di Alberto da Giussano. Oppure, in alternativa, di seguire Gianluigi Paragone al Misto, ma collocandosi all'opposizione. Su questo fronte si fanno i nomi di Cataldo Mininno, detto Dino, Luigi Di Marzio, Nicola Acunzo e Emanuele Dessì. Proprio Dessì il 3 gennaio scorso si è lanciato in un paragone quantomeno ardito: «Il nostro leader è Beppe Grillo, per noi è come Gramsci». E Grillo è l'unica figura, nel caos del M5s, che riesce a dialogare con tutte le anime pentastellate. Compreso il drappello di parlamentari pronto a seguire l'ex ministro Lorenzo Fioramonti, continuando a sostenere il governo Conte - bis. Insomma, per Grillo è diventato più importante il progetto della costruzione di un nuovo centrosinistra, con una gamba grillina, che il consolidamento dei consensi del M5s e della leadership di Di Maio.
Per ridurre l'emorragia nei gruppi parlamentari, è importante la capacità di mediazione di Grillo. Una carta che potrebbe anche convincere qualcuno a rimanere dentro. Infatti la «fronda delle restituzioni» ha sostanzialmente due bersagli: Di Maio e Casaleggio. E il Garante ha la possibilità di promettere meno ingerenze di Rousseau e una gestione interna più collegiale. Da guitto dell'antipolitica a grande saggio.
Con tanto di citazione della poesia «L'analfabeta politico» di Bertold Brecht, pubblicata martedì sul Blog. Un rimprovero a chi insiste con il vaffa: «L'analfabeta politico è così somaro che si vanta e si gonfia il petto dicendo che odia la politica», ha attaccato Grillo rinnegando se stesso.
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