Economia

Gucci, la Gabanelli e una difesa liberale del prezzo "ingiusto"

Chi se ne importa del costo-valore del bene oggetto del desiderio. Ciò che conta è la libera determinazione del consumatore

Gucci, la Gabanelli e una difesa liberale del prezzo "ingiusto"

Domenica sera è andata in onda una nuova puntata di Report di Milena Gabanelli. Si tratta, come sempre, di pezzi televisivi molto ben fatti e con una drammaticità di racconto che li rende accattivanti. Non facciamo i critici televisivi, non vi preoccupate. Il caso Gabanelli, con le consuete polemiche che ha alimentato, ci serve da spunto. In questa marmellata senza sapore, in cui definirsi di destra o di sinistra sembra superato e proclamarsi liberali appare scontato, la Gabanelli ci aiuta a capire che così non è. Una delle tesi di Report , semplifichiamo e di molto, è che alcuni marchi del lusso vengano venduti a prezzi troppo alti rispetto al costo delle materie prime utilizzate. E la colpa è dell'avidità dell'uomo. Se una giacca impiega poche decine di euro in tessuti e mano d'opera diretta, perché venderla a duemila euro?

Gli austriaci, non quelli di oggi, ma i grandi economisti di ieri, ci hanno spiegato nel Novecento che questa è la differenza tra un liberale e un socialista. È inutile affannarsi a spiegare che il prezzo di un bene è giusto (che so, i marchi del lusso spendono molto in pubblicità e pagano gli affitti nelle migliori strade del mondo), l'importante è piuttosto che qualcuno sia disponibile a comprare quel bene (non necessario) ad un prezzo che non si capisce per quale motivo qualcuno possa definire folle. Se un consumatore danaroso vuole privarsi di parte del suo patrimonio o del suo reddito per comprare una tela imbrattata o un pullover, a centinaia di migliaia di euro, che problema c'è? Chi se ne importa del costo-valore del bene oggetto del desiderio. Ciò che conta è la libera determinazione del consumatore.

Un Paese come l'Italia, scarsamente dotato di materie prime, ha sempre fatto di questo principio grande tesoro. Il prezzo non rappresenta la corrispondenza di un costo e di un margine di profitto. Il prezzo, per un liberale, è semplicemente un'informazione: quanto il mercato è disponibile a pagare un determinato bene o servizio. Certo a condizione che si operi in un mercato competitivo. Qualcuno dubita forse che i marchi del lusso appartengano al settore più aperto e competitivo che esista?

Oggi i moderni socialisti non hanno il coraggio di attaccare il profitto: è materia riservata a qualche vetero marxista. In modo più obliquo contestano la libera determinazione di un prezzo. La contemporaneità ci ha regalato declinazioni del socialismo altrettanto pericolose. Il giusto prezzo ne è un esempio, ma non l'unico.

Pensate all'ideologia del cibo a chilometro zero, all'ecologismo anti Ogm, alle nuove frontiere dell'antitrust sulla cultura tecnologica (caso Amazon) solo per citare gli ultimi casi di cronaca.

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