Una guerra che dura dagli anni Settanta

Una guerra che dura dagli anni Settanta

Che fra i due corresse pessimo sangue me ne ero già reso conto durante la lunga intervista con Carlo De Benedetti che pubblicai fa con l'editore Aliberti. Carlo De Benedetti aveva già licenziato in tronco Eugenio Scalfari nel corso di una cena a casa di Carlo Caracciolo, strappando da un momento all'altro era il 1996 Ezio Mauro dalla direzione della Stampa. Tanta furia inspiegabile e priva di garbo mandò in bestia il presidente della Fiat Gianni Agnelli che si trovò senza direttore dalla mattina alla sera, perché l'editore di Repubblica voleva assolutamente liberarsi del fondatore Eugenio Scalfari.

Quel che adesso salta fuori con l'intervista di De Benedetti alla Gruber è soltanto la sferzata finale di una tensione che risale al tempo in cui la Repubblica (fine anni Settanta) andava a rotta di collo. In quei tempi Scalfari si presentò con l'editore Carlo Caracciolo da De Benedetti per chiedere aiuto. L'Ingegnere mise mano al portafoglio ma volle anche avere voce in capitolo sull'azienda. Seguirono anni tempestosi, gloriosi e nebulosi allo stesso tempo, durante i quali il quotidiano di piazza Indipendenza annaspò prima di decollare con la crisi del Corriere della Sera alimentata dallo scandalo della P2 di Licio Gelli, uno scandalo simmetrico a quello del tutto prefabbricato con cui fu costretto alle dimissioni il presidente della Repubblica Giovanni Leone. Il giornale fiammeggiava ma restava fragile. Eugenio Scalfari commise il suo più grave atto di ostilità nei confronti Di De Benedetti come lui stesso mi raccontò - andando da Silvio Berlusconi ad per far balenare al Cavaliere la possibilità di acquistare il quotidiano. De Benedetti se la legò al dito. Sborsò un bel malloppo di miliardi al fondatore facendogli credere di volerlo ancora tenere, ma cercando la sua sostituzione che trovò in Ezio Mauro. Eugenio incassò così il valore di cui aveva dotato la testata, vendendo però l'anima al diavolo, o almeno vendendo il proprio futuro all'Ingegnere.

De Benedetti mi disse che quando prese la decisione di licenziare Scalfari fu costretto a recitare una stucchevole commedia di inchini e di riverenze, ma non voleva compromessi: era ora di guidare la sua proprietà pagata a caro prezzo, senza riconoscere il diritto alla perpetuità mitizzata di Eugenio. De Benedetti gli disse: non sei tu che tieni in piedi Repubblica, ma sono io. E posso farla anche migliore senza te. E dunque, compiuti i riti previsti, De Benedetti volle che Eugenio si levasse dai piedi. Ma il vecchio direttore ottenne sia la certificazione di fondatore sotto la testata che il diritto feudale al fondo della domenica. De Benedetti ha sempre mal digerito quella specie di pontificato perpetuo: «Qualche volta quel che scrive mi piace - disse - ma in genere gli sproloqui di Eugenio sono di una noia mortale».

La tensione è diventata poi conflitto aperto dopo la dichiarazione televisiva di Scalfari pro Berlusconi. Quel che è accaduto dalla Gruber ha avuto l'effetto di una bomba nucleare sui resti dell'antico «partito di Repubblica».

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