
Sì ma. Hamas recapita il suo assenso condizionato al piano Witkoff ma alla fine è un bluff. Lo dice lo stesso inviato di Donald Trump: «Le condizioni richieste da Hamas sono totalmente inaccettabili, ci riportano soltanto indietro. Hamas dovrebbe accettare lo schema che abbiamo presentato come base dei colloqui che potrebbero iniziare immediatamente la prossima settimana». E da Israele, che aveva già approvato il format dell'inviato americano con il suo capo negoziatore Ron Dermer, la proposta di ritocchi viene letta come un «rifiuto effettivo» da parte di Hamas. Insomma, parte ora il lavoro per attenuare le modifiche e i tempi inevitabilmente si allungheranno.
Ieri si attendeva il via libera al piano Witkoff da parte di Hamas. E l'organizzazione palestinese che controlla quel che resta della Striscia di Gaza ha detto sì proponendo però un sostanzioso «emendamento» sulla tempistica del rilascio degli ostaggi israeliani ancora in mano alla fazione. Se il piano Witkoff prevede una liberazione in due fasi di 10 vivi e 18 morti, Hamas vuole giocarsela con più calma rilasciando gli ostaggi in cinque fasi: quattro ostaggi vivi sarebbero lo «starter kit» dell'operazione, al primo giorno della tregua di 60 giorni, poi due ostaggi vivi e alcuni dei cadaveri dei prigionieri morti al trentesimo giorno, altri corpi senza vita al cinquantesimo giorno e infine gli ultimi quattro ostaggi vivi al sessantesimo e ultimo giorno. Un andamento lento che chiaramente serve a tenere sulla corda il premier israeliano Benjamin Netanyahu e a evitare che, incassati presto gli ostaggi, torni a martellare la Striscia come sta facendo negli ultimi tempi.
Il piano Witkoff prevede, oltre ai 60 giorni di silenzio delle armi e alla liberazione di 10 ostaggi israeliani vivi e 18 morti in due fasi entro una settimana l'una dall'altra, la liberazione da parte di Israele di 125 detenuti palestinesi condannati all'ergastolo e di 1.111 abitanti di Gaza arrestati dopo l'attacco, oltre che la restituzione dei corpi di 180 morti. Inoltre nei due mesi di silenzio delle armi (che si spera venga rispettato contrariamente a quanto accaduto in passato) si dovrebbero svolgere dei negoziati che dovrebbero mettere fine alla guerra e portare al rilascio dei rimanenti ostaggi nelle mani di Hamas e dovrebbe essere ripristinata la distribuzione degli aiuti alla popolazione di Gaza sotto l'egida dell'Onu e delle organizzazioni internazionali. Il punto più controverso riguarda l'eventualità che Israele si ritiri nelle posizioni che occupava prima dell'inizio della nuova offensiva a marzo, tema non gradito al governo Netanyahu nicchia.
E a proposito di Netanyahu, ieri ha fatto un appello alla comunità internazionale (presso la quale non è certo molto popolare) ad «agire ora per fermare l'Iran».
Teheran infatti, secondo l'ultimo rapporto dell'Aiea, avrebbe aumentato le sue scorte di uranio arricchito al 60 per cento, ciò che dimostra secondo il primo ministro israeliano che «l'Iran è determinato a dotarsi di armi nucleari» e che «lo scopo del programma nucleare iraniano non è pacifico».