Questo fine settimana sarà decisivo per l'avvenire di Hong Kong. Dopo che i leader della protesta anti cinese hanno respinto come tardiva e insufficiente l'offerta della governatrice Carrie Lam di ritirare la proposta di legge sull'estradizione in Cina che aveva innescato la rivolta, per oggi e domani sono previste nuove manifestazioni. In realtà già ieri sera a Kowloon ci sono stati scontri, e la polizia ha usato lacrimogeni e spray urticanti contro centinaia di dimostranti mascherati. Tra le iniziative annunciate per oggi ci sono un accesso in massa agli sportelli bancomat per paralizzare il sistema bancario e un nuovo tentativo di bloccare l'aeroporto internazionale. Dal loro successo a livello di partecipazione, e dal tipo di reazione che adotterà la polizia accusata di crescente brutalità e che i capi della rivolta vogliono veder messa sotto inchiesta per aver ucciso in dimostrante si potrà capire in quale direzione evolverà la crisi aperta ormai tre mesi fa. Una crisi che sta irritando sempre più il presidente cinese Xi Jinping, combattuto tra l'istinto di usare la forza e la ragione che gli impone di usare moderazione davanti al mondo.
Una moderazione che potrebbe essere, tuttavia, assai relativa. Già tre giorni fa un esponente del governo di Pechino aveva chiarito che la Basic Law di Hong Kong (la mini Costituzione che regolerà i rapporti fra la Cina e la ex colonia britannica fino al 2047) darebbe al Dragone rosso il diritto di instaurare un regime speciale in caso di gravi disordini; il ministro Guang Yang aveva precisato che la pazienza del suo governo sta per finire, e che il «caos» sarebbe stato affrontato «con ogni mezzo legale a disposizione». Una minaccia neanche tanto velata di ricorso allo stato di emergenza. Ieri il premier Li Keqiang è tornato sull'argomento. Lo ha fatto in un'importante occasione pubblica, la visita ufficiale a Pechino della cancelliera tedesca Angela Merkel. Un viaggio importante sia per la Cina che per la Germania. I due Paesi hanno un colossale interscambio commerciale, e ora che la «locomotiva tedesca» ha il fiato corto sull'orlo di un'inedita recessione, i mercati cinesi assumono per l'export di Berlino un peso ancor maggiore. Alla Cancelliera che, misurando attentamente le parole, chiedeva al governo cinese di rispettare i diritti dei manifestanti, di privilegiare la via del dialogo e di evitare ogni violenza, Li ha replicato gelido che Pechino «metterà fine al caos nel quadro della legge». Non molto rassicurante per quanti, a Hong Kong e in Occidente, parteggiano per la causa democratica dei manifestanti. Quasi a testare la reazione della Merkel (che non c'è stata: anzi, la Cancelliera ha voluto mostrare cauta equidistanza declinando l'invito dei manifestanti a incontrare una loro delegazione), il premier cinese ha assicurato che la Cina comunista «ha la saggezza per gestire la crisi».
Cosa questo significhi lo ha fatto intendere lo stesso presidente Xi rivolgendosi ai quadri del partito comunista a poche settimane dal solenne settantesimo anniversario della rivoluzione maoista del 1° ottobre 1949: «Quando è il momento di lottare bisogna lottare. E a Hong Kong, come a Macao e a Taiwan, la situazione si sta complicando: noi dobbiamo affrontarla».
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