Cronache

I 15 giorni del killer in un Cie. Poi di nuovo libero di uccidere

Dal carcere di Ferrara al centro di identificazione di Bari. Per Vaclavic il decreto di espulsione non è stato applicato

I 15 giorni del killer in un Cie. Poi di nuovo libero di uccidere

Igor Vaclavic non è un Rambo figlio di Hollywood, ma l'eroe mostruoso partorito da leggi sbagliate. Igor viene arrestato in Italia e finisce dietro le sbarre. Fin qui tutto bene: «bene» si fa per dire, considerato che uno così non sarebbe mai dovuto uscire dal carcere. Igor risulta anche «parcheggiato» 15 giorni in un Cie (Centro identificazione ed espulsione) con tanto di «decreto di allontanamento dal territorio nazionale», ma lo Stato non dà seguito operativo all'espulsione, consentendo così a Vaclavic di (ri)trasformarsi in spietato assassino e rapinatore. «Igor il russo» è quindi un pessimo soggetto che nel Belpaese non avrebbe dovuto esserci da un pezzo; un pessimo soggetto a cui le nostre autorità hanno «gentilmente» chiesto di tornarsene nel suo Paese; un pessimo soggetto che - di questa «gentile» richiesta - ha continuato a farsi beffe.

Del resto, qui da noi, Vaclavic si è sempre trovato bene, tanto da arricchire nel corso degli anni la sua fedina penale con imprese sempre più sanguinose. Fino ad uccidere due poveri cristi, rei solo di aver incontrato sulla loro strada un delinquente di «importazione». E dire che lo Stato italiano, su Vaclavic, le mani le aveva messe ben 17 anni fa: nel 2010 sul suo fascicolo giudiziario campeggiava la parola «pericoloso», idem per il compare di rapine, Costantin Fiti: entrambi «allontanati» dall'Italia con uno di quei provvedimenti-farsa che delegano al criminale di turno l'«onere» di lasciare il Paese.

«Il provvedimento - come ricostruito dal quotidiano La Nuova Ferrara - si perse in quel porto delle nebbie che è il Cie di Bari che, come da acronimo, avrebbe dovuto garantire identificazione ed espulsione, ma per Igor non completò né l'una, né l'altra. Vaclavic vi rimase quindici giorni, trascorsi i quali uscì con una stretta di mano e l'impegno a lasciare l'Italia, sulla parola. Sappiamo come è andata a finire». E poi: «L'ordine di cattura è dello scorso anno, ma prima di questa settimana di sangue non c'erano state ricerche sistematiche. Anzi. A consultare i faldoni in cui si sono accumulati gli atti d'inchiesta e quelli processuali che riguardano Vaclavic e i suoi saltuari compari, parrebbe che alcuni spunti siano stati trascurati». Eppure con lui la giustizia italiana non è andata con la mano leggera. Nelle nostre patrie galere Igor rimane quasi otto anni. Il pasticcio avviene due anni fa, quando, a pena espiata, viene scarcerato. Dietro le sbarre, nel carcere ferrarese dell'Arginone, la sua mutazione si è completata. Adesso l'ex soldato Ivan è una macchina da violenza. Il primo a parlare di lui, di «Igor il russo», è un altro uomo venuto dall'est: Ivan Pajdek, protagonista di una delle serie di rapine più allucinanti messe in atto nella zona. Quattro, una dopo l'altra, a cavallo dell'estate del 2015. Poi Ivan finisce in carcere. Il suo testimone viene preso da Igor. L'escalation di ferocia non si ferma. Anzi, intensifica i colori della tragedia. E, con gli ultimi due omicidi commessi da Vaclavic, vira sul rosso sangue.

Ma tutto è figlio anche di quel vecchio decreto di espulsione affidato al «buon cuore» di Igor, cui lo Stato italiano ha «ordinato» l'allontanamento, chiudendo però entrambi gli occhi sulla sua mancata applicazione. Nessun poliziotto ha mai infatti preso per il braccio Vaclavic, mettendolo su un aereo. Avrebbe «dovuto» farlo lui, ma Igor se n'è guardato bene.

Del resto in quale altro Paese del mondo avrebbe trovato tanta «elasticità» nell'applicazione della legge? In Russia, sicuramente no.

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