"I bimbi ci sconvolgono. Ma per i cristiani non c'è un dolore di serie A o B"

Il Padre francescano: "Tutte le guerre sono da condannare. Assuefarsi è una sconfitta"

"I bimbi ci sconvolgono. Ma per i cristiani non c'è un dolore di serie A o B"

«Un cristiano non può accettare di assuefarsi al dolore». E soprattutto chi crede «non differenza tra le bombe e tra guerre di serie A e di serie B: ognuna va condannata». Padre Enzo Fortunato è il direttore della sala stampa della Basilica di Assisi e direttore della rivista San Francesco. Lui, in ambito comunicazione, è un esperto. Ed è per questo che chiede «di dare voce a tutte le guerre, anche quelle dimenticate o che mediaticamente fanno meno effetto».

Missili americani sono stati lanciati contro la Siria. Possiamo parlare di guerra a pezzi, nominata spesso dal Papa?

«Ogni guerra è sempre una sconfitta per tutti. Sicuramente stiamo assistendo a quella che Papa Francesco ha denominato una guerra a pezzi, un mondo infiammato da conflitti e da violenze. Abbiamo un bisogno urgente di pace. I nostri cuori, il cuore della società, delle istituzioni, del mondo, hanno bisogno di pace».

Teme una escalation di violenza?

«L'unico rischio che vorrei che il mondo corresse è quello di farsi ambasciatori e testimoni di pace. L'esempio di Francesco d'Assisi possa suscitare un nuovo e sano protagonismo di pace. In questa situazione si faccia di tutto per tutelare le vite umane. Si garantiscano i corridoi umanitari, e si ritorni al tavolo della pace. Tutti, in base alle proprie competenze e responsabilità, difendano, tutelino e vivano la pace».

In Siria assistiamo a una tragedia umana quotidiana. Ma come porre fine alle violenze se non con un intervento armato?

«Non si risponda alle armi con le armi. La guerra è la bancarotta dell'umanità. Tutta la sostanza delle nostre istituzioni, delle nostre responsabilità, delle nostre parole deve mirare a spegnere le inimicizie e ogni forma di violenza e guerra e gettare le basi per fondamenti di nuovi patti di pace. Ed è un no convinto ad ogni forma di violenza».

Ci sono guerre e bombe che suscitano una reazione di coscienza maggiore rispetto ad altre. Perché?

«È evidente ed è chiaro a tutti quello che il Papa sta richiamando nel porre, al centro della sua missione, tutte le realtà dimenticate, anche quelle periferie dove ancora regna la guerra e la violenza e che i mass media fanno fatica a raccontare. Tutte le guerre, da quelle dimenticate a quelle riproposte con forza attraverso i circuiti internazionali, sono una sconfitta dell'uomo e dell'umanità. In questo caso si è trattato di immagini che hanno toccato il cuore dell'opinione pubblica. La comunicazione ha una grande responsabilità nel comunicare e raccontare quello che accade. È un esame che dobbiamo farci noi stessi operatori della comunicazione».

Perché la foto di un bambino con la maschera suscita indignazione, mentre centinaia di morti non provocano lo stesso effetto? Anche la coscienza cristiana ha bisogno di simboli che la risveglino?

«La coscienza cristiana è da sempre attenta a deplorare atti che umiliano l'uomo, che uccidono l'essere umano. L'uomo è protagonista di pace quando trova Dio che è pace. Allora diventa, attraverso le sue azioni, un cuore che cessa di essere un arsenale pronto ad esplodere per divenire un pozzo di misericordia. Ricordo in questo momento e spero possano risuonare nel cuore di chi ha responsabilità le parole del Cantico delle Creature: Beati quelli che sostengono la pace che da te altissimo saranno incoronati».

La coscienza è assuefatta al dolore e ha bisogno di stimoli simbolici e mediatici per essere risvegliata dal suo torpore?

«Quando un membro del corpo soffre è tutto il corpo a soffrire. Così, quando nella chiesa c'è una parte di essa che soffre, per la guerra e per la violenza, è tutta la chiesa che soffre. Non può esserci assuefazione al dolore, ma come operatori di pace nella vigna del Signore siamo chiamati ogni giorno a lenire il dolore, a fasciare le piaghe, a far sì che l'uomo viva da risorto, da figlio di Dio. Prima come testimonianza personale e poi come azione concreta.

Faccio mie le parole del santo di Assisi: Fa' di me uno strumento della tua pace. Pur sentendoci impotenti di fronte a quello che accade, siamo convinti che la forza della preghiera alimenterà la nostra speranza di un mondo di pace».

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