I campi nomadi oasi di illegalità. Le scuole? Miraggi

La chiusura è obiettivo dell'Ue ma le città sono ancora indietro

I campi nomadi oasi di illegalità. Le scuole? Miraggi
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Milano, Napoli, Roma, Torino. Si riaccendono i riflettori sulle feroci realtà dei campi rom italiani, dopo la morte di Cecilia De Astis, investita e uccisa da quattro minorenni.

Il 50% della popolazione rom in Italia ha meno di 18 anni e in troppi vivono ancora nei campi che, stando ai dati raccolti dall'associazione "21 luglio", sono 106, abitati da circa 13mila persone su un totale di circa 180mila rom e sinti presenti in Italia. Dal 2011 la chiusura dei campi è obiettivo comunitario fissato dall'Ue. Il governo l'ha recepito con la "strategia nazionale di inclusione delle comunità Rom sinti e camminanti" che si muove con finanziamenti nazionali ed europei. Molte città però sono ancora indietro. Stando ai dati di Unar e Istat tra il 2012 e il 2020 le persone che effettivamente sono uscite dagli insediamenti per vivere in un alloggio sono state 3.104. A Milano è stato liberato definitivamente poche settimane fa quello che era stato ribattezzato il "campo rom verticale" di via Bolla. I palazzi popolari dell'Aler erano abitati per l'80% da abusivi. Edifici che erano diventati negli anni una polveriera. Tre anni fa era scoppiata una rivolta con una sessantina di persone scese in strada armate di mazze e bastoni. La questura aveva dovuto inviare dei blindati per riportare la calma. E pochi mesi fa a una banda dedita a furti e spaccate proveniente dai campi rom nel Milanese, sono state inflitte condanne fino a sette anni.

A Milano e nella Capitale sono sempre di più i minori coinvolti in borseggi sistematici sui mezzi pubblici. A Roma si indaga su una gang di ragazzine sotto i 12 anni autrici di diversi furti alle fermate della metropolitana. Si vuole chiarire se frequentino regolarmente la scuola e se siano state accompagnate dagli adulti col preciso ordine di derubare i turisti. Ma secondo tutti i rapporti più recenti la situazione più grave è Napoli, dove il governo ha annunciato la bonifica di Secondigliano e Scampia. Le condizioni igienico sanitarie sono al limite. Nei campi rom campani si muore. A Giuliano a gennaio scorso una bimba di 7 anni ha perso la vita toccando i cavi elettrici. E a Cupa Perillo un 22enne, a febbraio di un anno fa, è morto folgorato dalla corrente. E poi ci sono gli incendi, lo smaltimento illegale di rifiuti tossici, talvolta in collaborazione con la criminalità organizzata. Vere sacche di emergenza ambientale. È lo stesso film che si ripete da anni da nord a sud.

A Roma i campi rom negli ultimi 15 anni si sono ridotti del 77%. Ed entro il 2026 dovrebbe chiudere anche il grande insediamento di Castel Romano. Ma anche qui c'è la piaga della dispersione scolastica e difficoltà di integrazione anche per problemi di discriminazione. Non ci sono dati completi, ma solo pochi degli iscritti vanno davvero a scuola. Una rilevazione del 2019 aveva contato che in media solo il 31% dei minori tra i 6 e i gli 11 anni frequenta la scuola elementare. Diversi progetti territoriali hanno dimostrato che esiste una correlazione con le condizioni abitative: chi vive in appartamento ha una frequenza scolastica superiore al 75.

E poi c'è la questione "culturale" nelle aule di giustizia. Aveva fatto discutere la sentenza con cui un anno fa la corte d'appello di Torino aveva assolto due genitori rom accusati di aver maltrattato le figlie a suon di schiaffi e pugni.

La violenza secondo i giudici sarebbe "un connotato" del campo rom, e le botte l'"unico strumento disponibile per garantire ordine e disciplina". Pochi mesi fa a Roma una coppia di genitori rom è stata invece condannata: costringeva il figlio di due anni a rovistare nella spazzatura in cerca di cibo.

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