È già un must della commedia all'italiana il soggiorno modenese di Amanda Knox, la «ragazza di Seattle» («ragazza mica tanto visto che ormai veleggia verso i 33 anni) che dall'America è tornata nel nostro Paese per darci lezioni di «processo mediatico».
Ad invitarla sono stati gli avvocati modenesi attraverso il loro presidente della Camera penale e col supporto di un'associazione chiamata Italy Innocence Project. E che, per il delitto di Meredith Kercher, Amanda sia innocence lo ha sancito definitivamente la Cassazione al termine di una vicenda giudiziaria cominciata nel 2007 (anno in cui la 21enne studentessa britannica Meredith Kercher fu trovata uccisa nella sua casa di Perugia) e terminata nel 2015 (con l'assoluzione «per non aver commesso il fatto» disposta dalla Suprema corte). Il 4 novembre 2007 (tre giorni dopo la scoperta del cadavere di Meredith) Amanda e il suo fidanzato di allora, Raffaele Sollecito, furono arrestati e due anni dopo (nel 2009) arrivò la prima condanna: 26 anni per sollecito e 25 per Amanda. Knox e Sollecito finiscono in carcere ma nel 2011 il processo di appello li scagiona entrambi: lui resta in Italia, mentre lei torna negli Usa; nel 2015 la Cassazione pone la parola fine, confermando l'assoluzione d'appello. Contro Amanda resta agli atti solo una condanna per calunnia nei confronti di Patrick Lumumba, proprietario di un pub di Perugia, tirato inopinatamente in ballo dalla Knox durante le prime fasi dell'inchiesta. L'unico che oggi è stato condannato per «concorso in omicidio» (un «concorso» di cui, incredibilmente, restano però ignoti i complici) è l'ivoriano Rudy Guede, condannato con rito abbreviato a 16 anni. Fin qui il quadro che riguarda i protagonisti del «giallo di Perugia».
Ci si chiede ora: alla luce di tutto ciò era opportuno, da parte degli organizzatori del Festival della giustizia, far salire in cattedra Amanda Knox per darci una lezione sul «processo mediatico»? Il buon senso (e il rispetto per la memoria di Meredith e la sua famiglia) farebbe rispondere «no»; ma quelli del Festival la pensano diversamente: «Amanda è una donna libera e la sua testimonianza è significativa». E così, questo pomeriggio, sentiremo da Amanda (che ha sottolineato di «piangere per le tante vittime della malagiustizia») ciò che ha da rimproverarci; del resto noi italiani siamo campioni del mondo nel prendere pesci in faccia da tutti. Ed ora è arrivato perfino il turno della Knox.
Lei, infatti, si atteggia a «vittima dei mezzi di informazione» che - a suo dire - l'avrebbero sempre dipinta «pregiudizialmente colpevole». Una «campagna di stampa negativa» che non ha impedito ad Amanda di beneficiare di un marketing pubblicitario che le ha fatto guadagnare soldi e popolarità nel mondo della tv, dell'editoria e della moda. Non a caso qui da noi Amanda sembra una star con capricci da diva. Nel party dell'altroieri a Modena ha preteso che i giornalisti rimanessero a debita distanza, idem durante la prima giornata del Festival della giustizia con in prima fila lei e il fidanzato (protagonista - pare - di una mezza lite con un fotografo, «reo» di essersi avvicinato troppo alla coppia).
E che dire della discreta, ma sempre presente, scorta di poliziotti che seguono ogni suo movimento? Che Amanda sia diventata un «obiettivo sensibile» bisognoso della protezione delle nostre forze dell'ordine? Intanto oggi gustiamoci la beffa della Knox che fa la morale all'Italia.Silenzio, parla Amanda.
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