I Carnevali più folli d'Italia tra frac e guerra d'arance

La festa più scherzosa dell'anno coinvolge 26mila aziende. E ogni città esorcizza le paure a modo suo

I Carnevali più folli d'Italia tra frac e guerra d'arance

In fondo non è più così necessario andare a Venezia o a Viareggio per sentirsi dentro Carnevale. Bastava farsi un giro in questi giorni all'assemblea del Pd o partecipare ai balletti in maschera in Campidoglio sullo stadio della Roma. O frequentare i social tutti i giorni. Dicono che il bisogno di indossare i vestiti di un altro, di sentirsi un altro, sia un rito millenario, se non addirittura mitico, gli dei che si mostravano all'uomo sotto mentite spoglie per prendersi gioco di lui, ma in quest'era global, narcisa e attaccabrighe niente è mai come sembra e nulla è più come prima: vecchi vestiti da giovani, nonne che vogliono sembrare ragazzine, poveri che vogliono sembrare ricchi, ricchi che preferiscono passare per poveri, rughe stirate dalla plastica, femministe che mettono il velo, truffatori travestiti da banchieri, tennisti che timbrano da medici, speculatori che si dicono filantropi, ministri di destra che governano con la sinistra, comunisti che indossano il rolex. Siamo tutti in maschera immersi dentro un carnevale che non finisce mai, quindi che senso ha alla fine celebrare la festa delle maschere? Forse economico. La Camera di Commercio di Milano per esempio spiega che il Carnevale, per il semplice fatto di esistere, mette in moto la bellezza di 26 mila imprese e più. Soprattutto cartolerie (15.235), negozi di giochi e giocattoli (4.779) e di dolciumi (3.525). Ai primi posti, tanto per dare qualche numero, Napoli, con 2.275 attività, Roma con 1.995 e Milano con 1.234. Ma anche per discoteche, sale da ballo e night-club è una pacchia. Poi, secondo i calcoli della Coldiretti, saranno almeno 12 milioni i chili di dolci tipicamente carnascialeschi che consumeremo in questi giorni, dalle frappe alle castagnole, dagli struffoli e alla cicerchiata. Un italiano su tre se li fa in proprio, con cinque euro al chilo te la cavi, prenderli in pasticceria si va dai 15 ai 30 euro al chilo. Sono pur sempre soldi che girano.

Poi anche perchè, sarà pure malinconia mascherata o felicità solo esibita, ma in Italia ci sono carnevali magnifici. E ognuno ha una faccia diversa. A Ivrea per esempio si massacrano a colpi di arance, tutti nemici di tutti, un po' come su facebook. L'anno scorso i feriti furono settanta, la metà dell'anno prima: non molti se si considera il volume di fuoco, settemila quintali di arance. A Cento invece, dove sono gemellati con la capitale del carnevale, Rio de Janeiro, sono più delicati: dai carri lanciano peluches, palloncini e giocattoli. Quest'anno volevano buttare anche Gianluca Vacchi ingaggiato per aprire le danze, ma poi non se n'è fatto niente. A Oristano il Carnevale sembra il palio, un sacramento laico dove il raccolto, la fortuna e la felicità della città dipendono dalla «Sartiglia», corsa all'anello in groppa al cavallo dove una stella d'argento appesa a un filo verde in mezzo alla strada va conquistata con la spada. A Borgosesia quando la maggior parte dei carnevali ha già chiuso baracca e burattini ci si butta sul Mercu Scûrot, il Mercoledì oscuro, dove è gradito l'abito scuro, appunto, con frac, cilindro, grosso farfallino bianco, mantella e cassù. Poi ognuno ha le sue: Venezia il «Volo dell'Angelo» dal Campanile di San Marco fino al centro della Piazza; Fano la Musica Arabita che si suona con lattine, caffettiere, coperchi e pentole; Viareggio in 144 anni di Carnevale ha fatto sfilare più di mille carri, Putignano ha addirittura cominciato a far festa il giorno di Santo Stefano e il 28 febbraio chiuderà il Carnevale più lungo d'Europa. Poi c'è l'abito a fare il monaco. Ad Allein, Val d'Aosta, si scende in strada con le landzettes, costumi colorati che ricordano le uniformi dell'esercito napoleonico con in mano una coda di cavallo e un campanello per scacciare gli spiriti. E a Mamoiada, nel cuore della Barbagia, in processione vanno gli Issohadores, con le loro giubbe rosse, e i Mamuthones, vestiti con pelli di pecora e 40 campanacci. Mettono in scena l'eterna lotta tra il bene e il male.

Sono queste cose alla fine che ci salvano, la

grande bellezza italiana, perchè, sparito ormai il confine che divide la trasgressione dalla penitenza, la diversità non fa più la differenza. E mettersi nei panni degli altri, quando finisce Carnevale, non lo fa più nessuno.

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