Coronavirus

"I debolmente positivi non infettano più". Svolta per la Lombardia

Il San Matteo: solo il 3% dei pazienti senza sintomi è infetto. Gallera: "Ora nuove regole"

"I debolmente positivi non infettano più". Svolta per la Lombardia

I cosidetti debolmente positivi al Covid (con malattia già fatta ma con tampone ancora positivi) non sono infettivi. Ora uno studio lo dimostra. Su 280 pazienti clinicamente guariti ma ancora positivi al tampone per il coronavirus sparsi tra Lombardia, Toscana e Emilia Romagna, solo 8 di loro sono risultati infettivi. Gli altri 272 cioè il 97% del campione, non è più infettiva, perché il virus non è più integro, ci sono solo frammenti virali che non possono contagiare nessuno ma che falsano il risultato del tampone. È la sostanza del lavoro svolto dal virologo del San Matteo Fausto Baldanti ieri presentato in regione Lombardia alla presenza del presidente della Fondazione Irccs Policlinico San Matteo di Pavia, Alessandro Venturi e il professor Giuseppe Remuzzi, del Mario Negri.

La ricerca, anticipata ieri dal Giornale, mostra cifre inoppugnabili che devono far riflettere sulle strategie di sanità pubblica in Italia fino ad ora adottate. Attualmente, chi risulta positivo anche dopo la fine della malattia, cioè i debolmente positivi, viene tenuto sotto chiave a casa fino a che un tampone, ma anche due, si negativizza. E circa il 15-17% è stato costretto, nei mesi scorsi, a dei cicli di quarantena infiniti. Un giovane atleta ha aspettato ben 52 giorni prima che il suo tampone si negativizzasse. Una situazione inaccettabile, tanto che il direttore dell'Ats Milano, Vittorio Demicheli aveva ieri ribadito la necessità di eliminare la quarantena per i casi vecchi ed emersi solo con i test sierologici. Inoltre, proprio a proposito dei tamponi, aveva chiesto a Roma di considerare un cambiamento per poter far emergere i nuovi casi con carica virale capace di contagio.

E ora anche Baldanti spiega nel suo lavoro che ormai c'è virus e virus. «Siamo in una fase in cui molte persone hanno superato l'infezione, sanno di essere state infettate perché hanno fatto tampone o un'indagine sierologica a cui è seguito il tampone. E in tanti ci hanno chiesto: se siamo clinicamente guariti, che significato ha il tampone positivo?». Baldanti aggiunge: «Molti di queste persone hanno una positività a bassa carica». Ed è difficile capire quando si è infettivi. «I tamponi spiega il virologo - sono un genere di indagine molecolare costruita per identificare una porzione del genoma del virus ma non spiega se il genoma è integro o frazionato».

Quindi, per sapere se il virus è ancora infettante bisogna lavorare in laboratorio: «Abbiamo preso - sottolinea Baldanti - i campioni di 280 pazienti, soggetti clinicamente guariti che avevano cariche basse. I campioni sono stati messi in coltura e il segnale di sopravvivenza del virus, cioè di infettività, era meno del 3%. Questo significa che in fase di risoluzione della sintomatologia il virus è principalmente non infettante». Dunque, attualmente, la stragrande maggioranza di persone guarite con tampone positivo non è infettivo. E Giuseppe Remuzzi sostiene che questo studio abbia implicazioni importantissime. «A questo punto dell'epidemia, il tampone positivo va qualificato, bisogna sapere quanto è positivo un paziente». Le ricadute di queste considerazioni vanno applicate soprattutto in Lombardia che detiene ancora la maglia nera del Covid.

«Abbiamo chiesto ufficialmente all'Istituto Superiore di Sanità di introdurre una netta distinzione dei casi debolmente positivi rispetto agli altri, in base alle nuove rilevazioni effettuate dalla comunità scientifica - fa infatti sapere l'assessore regionale alla sanità Giulio Gallera - al fine di non creare allarmismi e dare la dimensione vera e reale della diffusione del contagio nella nostra Regione che sta superando il momento emergenziale».

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