«Quello che spiegheremo è che siamo pronti a dismissioni di immobili, non a dismissioni primarie, non dei gioielli di famiglia, siamo pronti a maggiori tagli agli sprechi, siamo eventualmente anche pronti a clausole di salvaguardia che mettano al riparo dallo sforamento del deficit». Nell'intervista concessa ieri al Corriere il vicepremier Luigi Di Maio è parso insolitamente dialogante nei confronti dell'Unione europea sottolineando la volontà di interloquire apertamente con Bruxelles, tanto più che l'Eurogruppo di oggi potrebbe costituire un primo passo ufficiale per la bocciatura della manovra su cui la Commissione emetterà il verdetto finale mercoledì prossimo.
L'unico paletto posto da Di Maio è che «le grandi riforme di questa legge di Bilancio devono restare in piedi». Per il resto è emerso una propensione al compromesso che il leader pentastellato mai aveva manifestato così apertamente nei confronti dell'Europa. Le preoccupazioni esternate dal presidente della Bce, Mario Draghi, sulla necessità di ridurre il debito sono «legittime», sono «le stesse che ci hanno motivato a trovare un'altra ricetta per cambiare la situazione e andare incontro a quello che Draghi vuole come obiettivo». La mancanza di reazioni da parte dei vertici della Commissione fa emergere, però, l'inopportunità di questo pentimento tardivo, soprattutto dopo che l'altro vicepremier Matteo Salvini aveva rivolto epiteti non proprio gratificanti al presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker. Un risentimento che spiegherebbe molto bene il perché il numero uno dell'esecutivo comunitario stia risolutamente evitando di incontrare il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che da settimane sta tentando di fissare un incontro proprio per spiegare le ragioni della manovra finanziaria. Né molto meglio è andata al ministro dell'Economia, Giovanni Tria, richiamato all'ordine dai commissari Moscovici e Dombrovskis nonché dal presidente dell'Eurogruppo, Mario Centeno. E il titolare del Tesoro non è certo un pazdaran anti-Ue come i suoi colleghi.
Anche il ministro degli Affari Ue, Paolo Savona, ha cercato di andare a Canossa assieme al presidente del Consiglio. I risultati, però, sono stati i medesimi. «Lo Stato è naturalmente responsabile del rispetto degli impegni internazionali da chiunque assunti - ha scritto sul Sole 24 Ore - ma il punto di partenza del dialogo deve restare cosa fare per reagire alla caduta del Pil, di cui l'Italia ha la sola responsabilità di farsi cogliere in un perenne stato di debolezza». Il ministro cita la sua proposta per orientare più solidaristicamente l'Ue cui solo alcuni Paesi hanno replicati. «Altri, compreso il presidente Juncker, si sono trincerati in un silenzio che voglio rifiutarmi di considerare mancanza di volontà di dialogo sui veri problemi dell'Unione», ha concluso Savona lamentando l'isolamento in ambito comunitario.
Chi è causa del suo mal pianga se stesso, si potrebbe replicare. Il problema, tuttavia, è molto più complicato perché oggi l'Eurogruppo discuterà la proposta di Germania e Francia per riformare il bilancio europeo assegnando i fondi strutturali solo ai Paesi che rispettano le regole finanziarie.
La torta, in questo modo, sarebbe divisa in un minor numero di fette e i Paesi del Nord, che già vogliono avviare la procedura d'infrazione sulla manovra, spingono per tenere fuori l'Italia spalleggiando l'asse franco-tedesco. «Non si possono cambiare le norme adesso dopo che altri Stati si sono messi in regola violandole», ha commentato Di Maio. Il tempo, però, gioca a sfavore.
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