Un appartamento con vista sulle colline della Val di Chiana. Roberto Rossi, il procuratore dell'inchiesta sul crac di Banca Etruria, s'intratteneva in quei locali, rifiniti con una certa eleganza, in compagnia delle sue amiche. Una storia andata avanti a lungo, un anno e mezzo circa fra il 2010 e il 2011, tanto che alcuni condomini si erano lamentati con gli amministratori della società proprietaria della casa. «Quell'andirivieni di ragazze non ci andava a genio», racconta al Giornale Emiliano, uno dei sedici abitanti del complesso residenziale di Poggio Fabbrelli, alle porte di Arezzo. «Noi volevamo tranquillità e invece Rossi arrivava per primo, poi le sue amiche, una in particolare a bordo di una Mercedes». Elisabetta, che abita al piano terra, elabora immagini più defilate: «Ho capito che era il procuratore di Arezzo perché avevo visto le sue foto sui giornali. Ma ho in mente solo incontri fugaci sul camminamento di cotto affacciato sulla valle: Buongiorno e buonasera, nient'altro». Anzi, discrezione e silenzio.
La garçonièrre del magistrato era un argomento di dominio pubblico o quasi. E a suo tempo è finita dentro un fascicolo molto più corposo che da Arezzo è partito per Genova, competente ad indagare sui reati commessi o subiti dalle toghe toscane. L'interminabile, lunghissima inchiesta del pm genovese Francesco Pinto, una delle colonne portanti di Magistratura democratica in Liguria, viaggia verso l'archiviazione per Rossi il cui nome sarebbe stato speso a sua insaputa da un poliziotto infedele, Antonio Incitti, all'epoca braccio destro del procuratore, per spremere 50mila euro a un imprenditore.
Ma la vicenda di Poggio Fabbrelli resta un episodio sconcertante, da valutare attentamente sul piano disciplinare anche perché nel periodo in questione Rossi, che aveva le chiavi di quell'abitazione, non avrebbe mai pagato le spese condominiali, il canone d'affitto e neppure le bollette delle utenze. Un conto di alcune migliaia di euro. Una cifra saldata dagli amministratori della Italcasa Costruzioni srl, Paolo Casalini e Marta Massai, in quei mesi casualmente fidanzata di Antonio Incitti. Prima, naturalmente, di rompere fragorosamente quell'unione e di correre a denunciare quel torbido groviglio di rapporti, favori, scelte orientate, scoperti dal Giornale.
Rossi nei mesi scorsi è stato al centro di una lunga querelle davanti al Csm perché non avrebbe segnalato il potenziale conflitto di interessi fra la sua consulenza ai Governi Letta e Renzi e l'indagine su Etruria, ai cui vertici c'era il padre del ministro Maria Elena Boschi.
Non si sa invece se il Csm abbia mai affrontato quest'altro capitolo assai più imbarazzante: un magistrato deve maneggiare con estrema cautela tutti i rapporti e deve tutelare in ogni modo la propria onorabilità, evitando anche solo l'ombra di possibili ricatti e voci velenose. Quel che accadeva invece alle porte di Arezzo era noto a un grappolo di persone e nella primavera del 2012, quando la coppia Incitti-Massai andò in pezzi, entrò nei verbali raccolti dagli agenti della polizia aretina. Non è chiaro se la procura generale di Firenze abbia esercitato l'azione disciplinare, peraltro facoltativa e non obbligatoria, e se la relativa pratica sia mai giunta a Roma, a Palazzo dei Marescialli, e sia stata messa in stand by o archiviata.
Certo nel 2012 Casalini e Massai raccontano che Incitti ha chiesto loro un appartamento per il «capo» e aggiungono di essere stati loro a pagare tutto quello che c'era da pagare.
Finché i mugugni di qualche condomino e l'opportunità di affittare finalmente quei novanta metri quadri non li hanno convinti, alla fine del 2011, a chiudere il rapporto con quel personaggio ingombrante. Che intanto ha fatto carriera, nel 2014 è diventato formalmente il procuratore della Repubblica, ha condotto la delicatissima indagine sul disastro della banca che ha portato via i risparmi di migliaia di italiani.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.