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"I miei figli sono rinchiusi, non posso nemmeno sentirli"

La madre: "Dal ministero nessuno ci fa sapere nulla"

"I miei figli sono rinchiusi, non posso nemmeno sentirli"

«In questo momento i miei figli Yehya, Muhammad, Zumeryem e Shahide sono prigionieri. Da quando li hanno fermati a Shangai sono costretti a vivere in un orfanotrofio. Lo chiamano così, ma è un campo di detenzione per bambini dello Xinjang. Non possono uscire, non possono vedere né parlare con nessuno e sono sorvegliati a vista da quattro maestri che controllano tutto quello che fanno e dicono. Sono praticamente prigionieri».

Kadier Mireban è la madre dei quattro ragazzini uiguri protagonisti del terribile dramma propiziato anche dagli errori (o dall'indifferenza) del nostro ministero degli Esteri. Da quando - nel giugno del 2020 - non sono stati fatti entrare nel consolato a Shangai nonostante avessero i documenti per il ricongiungimento familiare vivono internati in un orfanotrofio e non possono più avere alcun contatto con i genitori. «L'ultima volta in cui sono riuscita a parlare con uno di loro - racconta al Giornale Katia Mireban, oggi residente con il marito e altri tre figli a Priverno in provincia di Latina - è stato dopo l' uscita di quel servizio della Cnn dallo Xinjiang. Dopo quel colloquio non ho più potuto mettermi in contatto con nessuno di loro».

Cos'è cambiato dopo il servizio della Cnn?

«Dopo l'uscita di quel reportage la polizia cinese ha preso tutti i loro cellulari e per noi è ora impossibile sentirli».

Intanto su Twitter è comparsa un'intervista a sua figlia Zumeryem che vi accusa di averli abbandonati

«In quei campi li costringono a fare e dire quel che vogliono. Zumeryem non è libera di dire la verità o quel che pensa. Ripete quel che fa più comodo al governo cinese».

Come fa a saperlo?

«Me l'ha raccontato mio figlio Yeha l'ultima volta in cui sono riuscita a parlarci dopo il servizio della Cnn. Yeha mi ha detto che hanno cercato di intervistare anche lui, ma si è rifiutato. Lei non è riuscita a opporsi. Non ha potuto dirgli di no. (sospira)».

Suo figlio Yeha com'è riuscito a chiamarla?

«Ci ha chiamato durante una passeggiata all'aperto, ma comunque neanche quella volta ha potuto parlare molto liberamente. uno dei maestri che lo accompagnava e ascoltava la telefonata».

Sapete come li trattano?

«Non so più nulla Non ho nessun contatto nessuna notizia siamo disperati (singhiozza)».

Ma perché li avevate lasciati in Cina?

«Nel 2016 ero rimasta incinta per la sesta volta, volevo mettere al mondo mio figlio, ma lì mi avrebbero fatto abortire perché avevo già altri cinque figli. Speravamo di riuscire a tornare o di far uscire anche loro. Ma la situazione è peggiorata anno dopo anno».

Siete in contatto la Farnesina? Vi tengono al corrente? Vi aiutano?

«No, non mi dicono niente. Non mi hanno mai spiegato nulla. Mi sembra che lì non ci sia nessuno disposto ad aiutarci (piange) Siamo soli e non sappiamo più cosa fare. Abbiamo i documenti in regola, ma se qualcuno non ci da una mano non vedremo mai più i nostri figli.

Resteranno per sempre nelle mani del governo cinese».

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