Dal pubblico venuto a sentire l'ex ambasciatore americano nell'ex Unione Sovietica Stephen Sestandovici, vicino alla sede presidenziale di Mar-A-Lago in Florida, si alza un omone che dice: «Io sono un millennial e a me delle passate rogne fra il mio Paese e la Russia non importa nulla. Che dobbiamo fare affinché i rapporti russi e americani siamo semplicemente normali?». L'ambasciatore risponde che non è finita del tutto la guerra fredda e che lo stesso Donald Trump si irrita con i militari russi che hanno piazzato qualche settimana fa una nave spia davanti a Boston facendolo infuriare. Il presidente secondo l'ambasciatore avrebbe detto: «Adesso andiamo lì e li facciamo saltare in aria». Poi la crisi è rientrata. I «millennials» che sostengono Trump sono più o meno i figli dei «baby boomers», messi al mondo con il rientro dei soldati dalla guerra. Solo quei padri ormai anziani ricordano la guerra fredda, mentre i millennials, nati fra gli anni Settanta e la fine degli anni Novanta scalpitano per grandi affari energetici con la Russia. Ma si sentono tallonati dai Democrats di Hillary Clinton e Barack Obama che spingono l'Fbi verso nuove crociate antirusse.
È così che più di mezza America chiede di dimenticare il passato e che si apra il business rallentato a causa delle sanzioni antirusse. La direzione è quella: ma intanto il nervo della diffidenza e la memoria dell'eterno duello riemergono e talvolta lo stesso Trump sembra sull'orlo di una crisi di nervi.
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