Questa volta non si tratta del «cigno nero» che il ministro Paolo Savona icasticamente utilizza per indicare la possibilità di un'inversione del ciclo macroeconomico che induca a decisioni estreme inclusa l'Italexit. Questa volta non si tratta di farsi entusiasmare dal recupero di Piazza Affari o dallo spread in calo ma di prepararsi ad affrontare uno scenario molto più complicato.
Si potrebbe pensare che le aperture, gli spiragli, la volontà di dialogare con la Commissione Ue manifestata dal governo gialloverde abbia in qualche modo tranquillizzato i mercati e che, quindi, una volta limato di qualche decimale il deficit 2019 la diatriba con Bruxelles si possa chiudere. Non funziona così: basta guardare i dati di ottobre del risparmio gestito. Ieri Assogestioni ha reso noto che a ottobre, nel momento di massima incertezza sulla manovra, sono stati registrati riscatti per 940 milioni di euro, un dato negativo. Andando oltre i nostri confini si osserva che ottobre è stato pessimo per tutti i mercati finanziari e negli Usa i riscatti hanno segnato quota 29 miliardi di dollari.
Dopo oltre un mese e mezzo di «orso» (come in gergo si definisce la caduta delle quotazioni) è normale che gli acquisti riprendano. «La domanda di titoli era così depressa che si sarebbe registrato un rialzo qualsiasi cosa fosse accaduta», commenta un operatore. A fine anno le «ricoperture», ossia i riacquisti di blue chip a prezzi più contenuti, fanno parte della prassi.
Le cose potrebbero andare peggio, lo dice la statistica. Come ha ricordato il presidente della Bce, Mario Draghi, «Dal 1975 ci sono stati cinque periodi espansione del Pil nell'area euro e sono durati in media 31 trimestri con un incremento medio del prodotto interno lordo del 21% dall'inizio del ciclo», ha detto aggiungendo che «l'attuale fase di crescita dura da 22 trimestri ma il Pil è aumentato solo del 10%». Insomma, una giustificazione di ulteriori interventi dopo la fine del quantitative easing che ha fatto da propulsore all'attuale fase e che alla fine dell'anno terminerà.
In fondo le previsioni moderatamente ottimistiche per il 2019 registrate dagli uffici studi di grandi banche come Ubs, Credit Suisse e Barclays fanno affidamento proprio su nuovi «aiutini» della Fed e della Bce. Anche perché «la fiducia degli investitori ha riportato uno dei peggiori e più rapidi cali degli ultimi dieci anni ed è scesa nuovamente a novembre», ha dichiarato Michael Metcalfe, responsabile strategie di State Street. Neil Dwane, gestore di Allianz Global Investors, è stato ancora più crudo. «Acquisto titoli europei perché le valutazioni sono attraenti nonostante le difficoltà politiche ma se l'impasse sulla manovra italiana resta irrisolta in sede europea, non so se altri investitori si sentiranno altrettanto fiduciosi visto anche l'abbassamento generalizzato delle stime di utili», ha detto. Gli sherpa che hanno preparato l'Ecofin di lunedì prossimo hanno reso noto che il comitato «considera un fattore aggravante» il fatto che il governo, non abbia rivisto la manovra confermando gli obiettivi di bilancio per il 2019.
La procedura d'infrazione è dunque certa, resta al governo trattare. Altrimenti il primo trimestre 2019 potrebbe essere caratterizzato da due fattori negativi: il rallentamento ulteriore della crescita e la sfiducia generalizzata dei mercati. Altro che «cigno nero».
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