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Dal Veneto alla jihad: morto un "italiano"

Immigrato macedone che viveva nel Bellunese caduto in Siria. Perse le tracce del figlio di tre anni di un altro combattente

La famiglia Mesinovic riunita prima della deriva integralista di Ismar
La famiglia Mesinovic riunita prima della deriva integralista di Ismar

Ora i morti sono due e la «spirale balcanica» è drammatica realtà. Il Giornale è stato tra i primi a parlarne. Lo scorso 21 giugno abbiamo rivelato l'esistenza di una rete jihadista con basi in Bosnia e Kosovo impegnata a far adepti tra gli immigrati slavo- musulmani del Nordest italiano per convincerli ad andare a combattere e morire in Siria. Fino a quel momento i sospetti sull'infiltrazione jihadista nel Triveneto si limitano alla vicenda di Ismar Mesinovic, un imbianchino bosniaco partito da Ponte delle Alpi nel Bellunese per andare a morire sui campi di battaglia siriani.

Una partenza quella di Mesinovic preceduta, nel giugno 2013, da un incontro con un predicatore salafita bosniaco nella zona di Pordenone. Ora, però, i morti sono diventati due. In Siria sarebbe stato ucciso anche Munifer Karamaleski, un 30enne musulmano macedone - amico di Mesinovic - residente a Chies d'Alpago, un paesotto del Bellunese dove viveva assieme alla moglie ed a tre bambini piccoli. Munifer partito per la Siria contemporaneamente o poco dopo Ismar Mesinovic, sarebbe caduto in combattimento a tre mesi di distanza dal compagno di fede e avventura. Secondo Gianluca Dal Borgo, sindaco di Chies d'Alpago, Karamaleski prima di raggiungere la Siria s'era cancellato dall'anagrafe del comune raccontando di voler tornare in Macedonia assieme a mogli e figli.

A Chies erano rimasti i genitori arrivati in Italia otto anni prima assieme a Munifer e ai suoi quattro fratelli. «Persone educate e gentili - ricorda il sindaco - e perfettamente integrate». Ma a render ancor più inquietante la morte di questo secondo jihadista partito dal Triveneto s'aggiunge l'intreccio con la misteriosa vicenda di Ismair Tabud, il bimbetto messo al mondo nel settembre 2011 da Lidia Solano Herrera, la moglie cubana del «caduto» Ismair Mesinovic. Ismar Tabud scompare nel novembre 2013 quando il padre lo sottrae alla moglie per portarlo con se nell'inferno siriano. Alla morte di Mesinovic - fatto secco da il 4 gennaio da un cecchino governativo alle porte di Aleppo - il figlioletto passa, secondo alcune ricostruzioni, nelle mani dell'amico Munifer Karamaleski. Ma l'affidamento dura poco. A marzo anche Munifer viene impallinato e a quel punto, stando al quotidiano bosniaco Dvevni Avaz , il povero Ismair Tabud viene consegnato a due delle tante donne che gravitano intorno alle brigate jihadiste con la funzioni di mogli o di «pasionarie» dispensatrici di favori sessuali.

Da quel momento il piccolo Ismair Tabud scompare nel nulla. Le indiscrezioni sulla morte di Karamaleski e le indagini su cinque presunti «reclutatori» della procura di Venezia e del Ros di Padova contribuiscono, invece, a rafforzare le ipotesi sull'esistenza di una struttura basata nei Balcani, ma pronta a investire denaro per mandare in Italia i propri predicatori incaricati di adescare «volontari» tra l'immigrazione slavo musulmana del Triveneto. Secondo gli esperti dell'antiterrorismo l'organizzazione ha già convinto una trentina di «volontari» a lasciare l'Italia per la Siria. «Sospettiamo che questi jihadisti - spiegava una fonte del Giornale - siano un po' meno “volontari” di altri e vengano indotti a partire dalla promessa di denaro o dalle sollecitazioni dei loro capi religiosi».

Non a caso la partenza di Ismar Mesinovic, era stata preceduta, dall'incontro con un predicatore salafita bosniaco nella zona di Pordenone. Ma quelli di Mesinovic e Karamaleski non sono casi isolati. Secondo i nostri inquirenti centinaia di militanti usciti dalle moschee di Bosnia e Kosovo vivono oggi tra Trieste, Belluno, Trento e Padova.

E lì, con il ritorno dei veterani della Siria, minaccia di attecchire un nuovo humus proto-terrorista molto simile a quello della moschea di viale Jenner a Milano dove, negli anni Novanta, Al Qaida mise radici proprio grazie ai reduci della guerra di Bosnia.

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