Politica

Impasse sul Quirinale tra il terrore dei 5 Stelle e le paure del Nazareno

Il M5s: no alle urne. Letta teme Berlusconi. Renzi: "La destra ha i numeri, manca il regista"

Impasse sul Quirinale tra il terrore dei 5 Stelle e le paure del Nazareno

Da un lato c'è la grande paura del voto dei parlamentari: mercoledì, quando Mario Draghi è andato in aula per le comunicazioni sul Consiglio Ue, i banchi grillini erano semideserti. Una scelta voluta per mandare un segnale al premier, spiegano loro: «Siamo il cuore del partito TTD: tutti tranne Draghi». Il terrore che uno spostamento del premier da palazzo Chigi al Colle apra la strada a elezioni anticipate, e quindi per loro alla disoccupazione, è più forte di qualsiasi ragionamento politico (ammesso ne siano capaci).

Ed è a rassicurare le schiere dei suoi morituri che punta Luigi Di Maio quando dice: «Chi oggi pensa al voto anticipato si assume la responsabilità di mettere KO il paese».

Dall'altro lato c'è la crescente insofferenza di capicorrente, ministri, leader e mezze tacche per quello che chiamano «commissariamento della politica»: la forza, l'autorevolezza, la popolarità di Draghi vengono viste come l'ostacolo che impedisce loro di dispiegare i propri formidabili talenti nell'arte del governo. E in molti sognano di usare la partita del Colle per delegittimare il premier e liberarsi dalla sua ingombrante presenza, a mani finalmente libere.

Per il momento, l'unica operazione in corso in vista della scadenza di Mattarella è dunque quella che tende a logorare la «candidatura Draghi» prima che si materializzi e riesca ad imporsi. A Palazzo Chigi ne sono perfettamente consapevoli, ma non replicano, se non con un messaggio ripetuto: se la maggioranza di governo si dividerà nella scelta per il Colle, sarà assai difficile poi rimetterla insieme. E allora sì che il voto anticipato diventerebbe probabile.

Per il resto, nessuno sa bene cosa fare. Non si sa neppure la data di inizio delle votazioni: ieri girava il 24 gennaio, ma le trattative sono ancora in corso. Matteo Renzi sottolinea l'impasse: «Serve un regista», dice (ricordando come lui fu quello dell'elezione di Mattarella), ma il regista allo stato non c'è: «Oggi i numeri li ha la destra, ma non mi pare abbia una strategia né un candidato. Spero che a gennaio tutti arrivino con idee più chiare». Il pacchetto di voti renziani, assieme a quelli di altri centristi, potrebbero essere decisivi in caso non si coagulasse una maggioranza larga (su Draghi, sul bis di Mattarella, su Amato), altrimenti verrebbero neutralizzati. Ma il centro stesso è diviso, con il sindaco di Venezia Brugnaro che stoppa l'intesa tra Giovanni Toti e Renzi per dar vita a una «nuova Margherita». A destra Salvini e Meloni non riescono a mettersi d'accordo neppure per vedersi: dopo la frenata di FdI, il capo leghista torna alla carica: «È possibile un vertice prima di Natale», dice, annunciando che «a breve» incontrerà Berlusconi per parlare anche della sua eventuale candidatura.

A sinistra le cose non vanno meglio: Enrico Letta teme l'incognita Berlusconi, ma anche le resistenze a Draghi interne al suo schieramento, per cui rinvia il discorso Colle «al momento opportuno».

Intanto però annuncia nuove campagne identitarie, a cominciare dal ddl sull'omotransfobia: oggi farà una diretta social insieme a Alessandro Zan, e promette «novità» su quella battaglia, persa in aula pochi mesi fa: prima di aprile, sei mesi dopo il rinvio deciso dal Senato, la legge non potrà riemergere dalle secche, quindi la battaglia ha un sapore tutto politico: «È una carta da campagna elettorale», è il sospetto nel Pd.

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