Ieri il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha difeso con forza un sacrosanto principio garantista in materia di crimini societari. Non dimissiono - ha più o meno detto al Parlamento - l'amministratore delegato dell'Eni che dà lavoro a decine di migliaia di persone per la semplice apertura di un'indagine nei suoi confronti. Anche se l'ipotesi è quella di corruzione internazionale. Anche se i pm ipotizzano, secondo «scoop telefonati», tangenti miliardarie. Siamo perfettamente d'accordo con il premier e lo abbiamo scritto centinaia di volte. Ma non sappiamo se il Renzi di ieri è lo stesso Renzi che in una trasmissione condotta da Lilli Gruber, si disse favorevole all'introduzione di una tagliola societaria per la quale i capi delle società partecipate dal Tesoro si sarebbero dovuti dimettere al momento di un rinvio a giudizio. Scaroni, all'epoca numero uno dell'Eni, replicò che si trattava di una norma assurda e unica al mondo. E le assemblee di Eni e Finmeccanica bocciarono poi l'introduzione di quel codicillo proposto caparbiamente dai rappresentanti del Tesoro. L'Enel invece l'approvò.
Il rinvio a giudizio è un passettino conseguente l'apertura di un'indagine. E auguriamo ai vertici dell'Eni di uscire prima da questa vicenda.
Ma non è assolutamente escluso che essi vengano rinviati a giudizio. D'altronde non si tratta di una condanna, ma appunto di un processo che si intende celebrare. Cosa fa in quel caso Renzi, mantiene il suo posizionamento garantista di ieri, o si riscoprirà giustizialista?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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