Le inchieste Eni e Matteo bifronte

Il presidente del Consiglio resterà garantista oppure si riscoprirà giustizialista?

L'ad dell'Eni Claudio Descalzi
L'ad dell'Eni Claudio Descalzi

Ieri il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha difeso con forza un sacrosanto principio garantista in materia di crimini societari. Non dimissiono –- ha più o meno detto al Parlamento -– l'amministratore delegato dell'Eni che dà lavoro a decine di migliaia di persone per la semplice apertura di un'indagine nei suoi confronti. Anche se l'ipotesi è quella di corruzione internazionale. Anche se i pm ipotizzano, secondo «scoop telefonati», tangenti miliardarie. Siamo perfettamente d'accordo con il premier e lo abbiamo scritto centinaia di volte. Ma non sappiamo se il Renzi di ieri è lo stesso Renzi che in una trasmissione condotta da Lilli Gruber, si disse favorevole all'introduzione di una tagliola societaria per la quale i capi delle società partecipate dal Tesoro si sarebbero dovuti dimettere al momento di un rinvio a giudizio. Scaroni, all'epoca numero uno dell'Eni, replicò che si trattava di una norma assurda e unica al mondo. E le assemblee di Eni e Finmeccanica bocciarono poi l'introduzione di quel codicillo proposto caparbiamente dai rappresentanti del Tesoro. L'Enel invece l'approvò.

Il rinvio a giudizio è un passettino conseguente l'apertura di un'indagine. E auguriamo ai vertici dell'Eni di uscire prima da questa vicenda.

Ma non è assolutamente escluso che essi vengano rinviati a giudizio. D'altronde non si tratta di una condanna, ma appunto di un processo che si intende celebrare. Cosa fa in quel caso Renzi, mantiene il suo posizionamento garantista di ieri, o si riscoprirà giustizialista?

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