Non stupisce che Sergio Mattarella abbia nominato cavaliere del lavoro Inge Feltrinelli, proprietaria dell'omonima casa editrice. Semmai lascia basiti il fatto che la signora abbia accettato l'onorificenza, che è l'espressione massima del capitalismo italiano, ovvero ciò che ella ha sempre combattuto, essendosi dichiarata rivoluzionaria fin da giovanissima. D'accordo, il mondo è cambiato e l'Italia si è addirittura ribaltata, ma vedere una donna simbolo della sinistra radicale ricevere una patacca di norma riservata ai pescecani (definizione proletaria) fa una certa impressione.
Nella vita succede di tutto, anche di cambiare idea, ma a una piroetta come quella compiuta dalla «signora in rosso» non capita di assistere spesso; conviene segnalarla. Tanto più perché Inge recentemente aveva confermato di essere rimasta fedele al proprio passato e a quello del marito Giangiacomo, dilaniato da un'esplosione nel 1972 mentre cercava di far saltare per aria un traliccio a Segrate, un gesto ribelle che emblematicamente segnò l'inizio della stagione terroristica durata alcuni anni (una decina) in un bagno di sangue.
Chi ha una certa età e buona memoria non può aver dimenticato: la morte dell'editore miliardario suscitò polemiche roventi. Pochi credettero alla versione ufficiale, cioè che egli avesse perso la vita in un incidente sul (secondo) lavoro, quello di sovversivo. I compagni sostenevano con convinzione che fosse stato ucciso da qualche reazionario o, meglio, da un gruppo di fascisti. Fantasie deliranti che per lungo tempo passarono per tragica realtà. In quel periodo era in atto una guerra feroce tra borghesi e ribelli comunistoidi, e pareva che i primi stessero per soccombere, nonostante fossero impegnati - col presunto ausilio dei servizi segreti ovviamente deviati - nel dare corpo e sostanza alla strategia della tensione.
Ogni attentato veniva attribuito allo Stato. Allorché l'anarchico Giuseppe Pinelli si lanciò dalla finestra della questura di Milano, suicidandosi, chi era di sinistra (una massa enorme) accusò la polizia di averlo ucciso allo scopo di risolvere il giallo di piazza Fontana. Il commissario Luigi Calabresi (padre dell'attuale direttore della Stampa di Torino) fu condannato alla pena capitale dai cosiddetti intellettuali progressisti, e assassinato dai signorini di Lotta continua. Secondo costoro si trattò di eseguire una sentenza popolare, giusta per definizione.
In quell'epoca tumultuosa chi non era comunista non aveva scampo. E fu proprio Giangiacomo Feltrinelli a inaugurare la lotta armata benché fosse stato vittima di se stesso, della propria goffaggine di rivoluzionario improvvido, cresciuto negli agi e perito nel tentativo maldestro di danneggiare un traliccio. A quasi mezzo secolo da quell'episodio per nulla edificante, la vedova dell'editore - anch'ella animata da spirito giacobino - è stata insignita del titolo di cavaliere del lavoro.
Viene da ridere, non perché Inge non meriti il riconoscimento (in effetti ha mandato avanti l'azienda con bravura e competenza), ma in quanto esso ha un significato opposto rispetto al senso che la donna ha dato alla propria attività, quella di propagandista di teorie eversive.È la conferma che quando i ricchi virano a sinistra o c'è qualcosa che non va nei ricchi o c'è qualcosa che non va nella sinistra.
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