Cronache

"Innocenti in cella? Embè?" E dalla figlia di Tortora parte il vaffa a Travaglio

Il direttore del «Fatto» dà ragione a Bonafede l'ira della cronista. Prescrizione, governo in tilt

"Innocenti in cella? Embè?" E dalla figlia di Tortora parte il vaffa a Travaglio

Scrive Marco Travaglio sul Fatto quotidiano di ieri: «Gli errori giudiziari più diffusi non sono gli arresti e le condanne di innocenti: sono le scarcerazioni e le assoluzioni dei colpevoli». È un intervento a gamba tesa nel dibattito intorno ai temi della giustizia, che si è fatto rovente dopo l'entrata in vigore della legge che cancella la prescrizione. Finora, anche chi difendeva la nuova legge ammetteva che in Italia ci sono vittime della malagiustizia, gente arrestata e condannata senza avere fatto nulla. Invece l'altro ieri il ministro Alfonso Bonafede sfodera in tv la sua teoria secondo cui «gli innocenti non finiscono in carcere». È una falsità smentita da centinaia di casi, a volte clamorosi. Così Travaglio deve soccorrere il ministro e argomentare la tesi E comunque, aggiunge il giornalista, «non c'è nulla di scandaloso se un presunto innocente è in carcere».

La sparata è così grossa che anche una persona pacata come Gaia Tortora, figlia del presentatore sbattuto in galera senza prove nel 1983, decide che la misura è colma: «Finora ho sopportato e sono stata una signora. Ora basta. Travaglio ma vaffan...». Travaglio reagisce inviando alla Tortora una serie di sms. «Al peggio non c'è mai fine», commenta la destinataria.

Sono toni che raccontano bene come lo scontro sui temi della giustizia sia ormai al calor bianco. L'aspetto tecnico della riforma della prescrizione ormai è quasi passato in secondo piano. Gli stessi magistrati, che del lato giuridico della faccenda dovrebbero pur preoccuparsi, glissano sul fatto che la riforma Bonafede è stata giudicata illegittima da tutti i docenti italiani di diritto costituzionale. Alle toghe va bene così, perché le libera dall'obbligo di chiudere un processo in tempi certi. Tant'è vero che ieri il presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Luca Poniz, insorge contro la pallida contromisura che il ministro ha proposto per bilanciare la sparizione della prescrizione: ovvero una tabella di marcia per ogni grado del processo. I tempi previsti non saranno tassativi, potranno venire sforati senza che il processo ne subisca alcun danno, l'unica conseguenza sarà il rischio per il giudice-lumaca di subire un processo disciplinare, cioè di finire davanti al Csm dove ovviamente verrà prosciolto da ogni addebito. Eppure l'Anm si indigna, Poniz definisce «draconiana e punitiva» la previsione di tempi per i processi, il suo segretario Giuliano Caputo parla addirittura di misura «brutale». «La durata dei processi - aggiunge Caputo - dipende anche dallo scrupolo nell'accertamento dei fatti».

In realtà i magistrati sanno bene che questa parte della miniriforma di Bonafede è destinata a restare lettera morta, l'importante è che la prescrizione sia di fatto sparita dall'ordinamento, e su questo risultato si poggia l'asse di ferro tra toghe e 5 Stelle. Ma la scelta di un rapporto preferenziale con i grillini ha di fatto isolato i magistrati dal resto del mondo.

E le conseguenze si potrebbero vedere già domani, quando in Parlamento inizierà l'iter del disegno di legge del forzista Enrico Costa, che punta a riportare pienamente in vigore l'istituto della prescrizione. Italia viva, dopo avere liquidato come incostituzionale il cosiddetto «lodo Conte», la proposta di mediazione avanzata dal premier, si appresta a votare a favore della legge Costa, spaccando di fatto il governo.

E appare sempre più probabile, se l'esito del voto di ieri rafforzasse il partito trasversale di chi vuole andare alle urne in fretta, che proprio la giustizia possa costituire il casus belli ideale per rompere l'alleanza giallorossa.

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