Agnese c'è. È pronta. Magari non se ne farà nulla. Ma lei comunque c'è. Per dare un segnale. Ci spiegherà dopo che tipo di messaggio. E a chi.
Ma intanto spieghiamo chi è questa trentunenne astigiana, una dei tanti italiani giramondo dell'intelletto. Una laurea a Pisa, un dottorato di ricerca terminato qualche mese fa a San Diego, California; un altro ottenuto ma rinviato causa Covid al Natural History Museum di Londra, che probabilmente inizierà nel prossimo autunno. Quando le chiediamo una foto per corredare l'articolo ci dice: «Guarda, sul mio sito ne troverai una con una balena?». Balena? Sì, balena. Perché lei si occupa di biologia dell'evoluzione. E di cetacei.
Poi però si occupa anche di darci una lezione. Agnese Lanzetti da Asti si è offerta come volontaria per il test del vaccino anti Covid-19 basato sulla somministrazione del virus dopo quella del vaccino. Ha firmato, con altre cento persone, la lettera inviata al direttore dei National Institute of Health (Nih), Francis Collins, per accelerare il percorso verso il vaccino contro il virus che ha sconvolto il mondo grazie alla tecnica dello «human challenge tral», che prevede la sperimentazione di un farmaco su persone che si espongono intenzionalmente ai rischi del caso. Motivo per cui questa strategia è controversa da un punto di vista etico. Ma anche motivo per cui Agnese va ammirata perché in teoria potrebbe correre non pochi rischi per questo.
La domanda, come diceva quello, sorge spontanea: Agnese, perché lo fai?
«Per mandare un messaggio a coloro che anche in Italia, anzi soprattutto in Italia, mettono in discussione la scienza. Voglio far riflettere sulle possibilità che la scienza ci offre e su come bisogna ragionare con la propria testa, e non fidarsi di quello che dice tuo cugino».
Tu però non sei un medico...
«Certo ma sento la responsabilità che deriva dalle mie conoscenze. Credo nella scienza in generale. Una persona con il mio background deve impegnarsi in prima persona».
Una scelta etica.
«Certo. Per me firmare quella lettera è stato uno sforzo infinitesimale. Nessuna persona può farcela da solo, ma bisogna pure iniziare da qualcosa e da qualcuno».
Quando hai firmato quella lettera?
«Guarda, era marzo».
Eri in Italia o negli Stati Uniti?
«No, in Italia».
Quindi eri in preda alla tempesta emotiva che nel nostro Paese ha segnato quella fase della pandemia...
«Sì, ma la mia è stata una scelta lucida, non emotiva».
A proposito, che differenze ci sono nel modo in cui Itala e Stati Uniti hanno vissuto l'emergenza Covid?
«Gli Stati Uniti sono un Paese grande e individualista. Se una cosa non ti riguarda personalemnte, non ti interessa. Noi abbiamo avuto una risposta più accorata».
Torniamo al vaccino. Come sei venuta a sapere di quella lettera, di quel progetto?
«Sono passati mesi, sai che nemmeno me lo ricordo? Credo di aver ricevuto un messaggio sulla mia mail dell'università americana...».
Chi c'è dietro questo progetto?
«Un'associazione che si chiama 1 Day Sooner (un giorno prima in italiano, ndr) che si occupa di sensibilizzare l'opinione pubblica su progetti di questo genere, come la donazione del rene».
Quando si parte?
«Non funziona così. È altamente improbabile che si arrivi a farlo e soprattutto che si faccia in Italia dove ci sono regole troppo stringenti».
Siamo andati a vedere il sito di
«1 Day Sooner». Ci sono 32.664 persone di 140 Paesi che si sono offerte come volontarie per farsi iniettare il virus. Anzi, 32.665. Perché ho compilato il form e mi sono iscritto anche io. Il messaggio è arrivato, Agnese.
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