Ucciso con un cappio al collo, appeso a una gru. Giustiziato in pubblico. Nella stessa città, Mashhad, dove era nato, e nella stessa strada in cui - secondo le autorità iraniane - avrebbe commesso il suo crimine, l'uccisione di due basiji, i paramilitari braccio armato della repressione. Le associazioni per i diritti umani denunciano la «confessione estorta», l'impossibilità di scegliere un avvocato, i segni di tortura esibiti dall'imputato. Ma dalla teocrazia di Teheran nessuna pietà. L'immagine scioccante del condannato impiccato, il corpo che penzola, viene pubblicata dall'agenzia di stampa vicina alla magistratura, Mizan.
È un'esibizione di muscoli e di terrore, soprattutto a uso interno, per avvertire i cittadini del prezzo da pagare se si protesta, quella che la Repubblica islamica ha voluto offrire con l'esecuzione della seconda condanna a morte di un manifestante, la prima avvenuta «pubblicamente» da quando in Iran è esplosa la rivolta tre mesi fa.
Majidreza Rahnavard, 23 anni, è stato ucciso dopo un processo lampo, ad appena 23 giorni di distanza dall'arresto, con l'accusa di «moharebeh», «inimicizia contro Dio», in un Paese in cui la giustizia è farsa e si muove con spietatezza e velocità contro chiunque critichi l'autorità statale e religiosa. La madre lo aveva visitato il giorno prima, sperando nella liberazione, e nessuno l'aveva avvisata dell'impiccagione imminente, di cui ha saputo solo dopo la morte. All'esecuzione hanno assistito soprattutto agenti delle forze di sicurezza, molti cittadini si sarebbero rifiutati di partecipare. Eppure Teheran difende a spada tratta la linea dei diritti civili e delle libertà violate. Il capo della magistratura locale, Gholam Ali Sadeghi, ringrazia la polizia per «aver stabilito l'ordine e la sicurezza e per essersi occupati di rivoltosi e delinquenti» e il capo della magistratura iraniana, Gholamhossein Ejei, non ha rimorsi: «Siamo precisi e veloci durante i processi equi dei nostri casi giudiziari e non badiamo alle chiacchiere e alla volontà altrui. Non siamo preoccupati di essere incolpati da nessuno».
Il mondo si indigna, il governo francese afferma che «l'esecuzione dei manifestanti non può essere una risposta alle manifestazioni» di protesta, l'Unione europea risponde con un nuovo pacchetto di sanzioni e aggiunge 20 nomi alla lista delle persone soggette a misure restrittive per violazione dei diritti umani in Iran. Amnesty International avverte: «La lista dei condannati a morte è lunga. Il mondo deve mobilitarsi», almeno 18 rischiano la pena capitale. L'esecuzione viene criticata persino da tre ayatollah, che la ritengono sproporzionata: «Chiunque sia accusato di guerra contro Dio o corruzione sulla terra non dovrebbe essere necessariamente giustiziato», dichiara l'ex capo della Corte Suprema, l'ayatollah Morteza Moghtadai, membro dell'Assemblea degli esperti.
Ma il regime intende lanciare un messaggio chiaro dentro e fuori dal Paese, che ribolle per la protesta esplosa dopo la morte di Mahsa Amini per un velo, e diventata l'embrione di una rivoluzione che la Repubblica islamica vuole uccidere in culla. Mentre un gruppo di prigioniere politiche nel reparto femminile della prigione di Evin, a Teheran, annunciano un sit-in nell'ufficio dell'ufficiale di guardia del reparto, contro le esecuzioni di manifestanti e a sostegno degli scioperi e delle proteste, il regime lancia un segnale anche all'esterno, alla comunità internazionale, ma soprattutto all'Europa. La Repubblica islamica annuncia sanzioni a 10 persone e 5 entità europee, che include organi di informazione come Radio Farda, versione in persiano di Radio Free Europe, e Radio Zamaneh, ma anche il giornale satirico francese, Charlie Hebdo, teatro dell'attentato degli islamisti islamici del 7 gennaio 2015, a Parigi, e che la scorsa settimana ha lanciato un concorso internazionale per vignettisti, chiedendo di inviare una caricatura della Guida suprema dell'Iran, Ali Khamenei. Nel mirino c'è in particolare il Regno Unito, dal ministro dell'Immigrazione, Robert Jenrick, al direttore generale dell'MI5, Ken McCallum, oltre a 4 deputati e al British Committee for Iran Freedom e al Tony Blair Institute for Global Change.
Ma spuntano anche personaggi di spicco della scena europea: il comandante delle Forze Aeree tedesche Michael Trautermann, il comandante delle Forze armate tedesche in Irak, Holger Kunkel, l'ex presidente del Bundestag Norbert Lammert, l'ex ministra della Difesa tedesco Annegret Kramp Karrenbauer e l'ex ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.