Il presidente egiziano President Abdel Fattah al-Sisi si dovrebbe, a questo punto chiedere, se il pugno di ferro utilizzato per reprimere la rivolta dei Fratelli Musulmani dopo il colpo di stato di due anni fa sia ancora la strategia più efficace. E se le nuove durissime leggi anti terrorismo che assegnano maggiori poteri a polizia ed esercito - costringendo, di fatto, alla clandestinità qualsiasi ex militante del movimento islamista - siano la ricetta migliore per ripristinare ordine e sicurezza. A prima vista non sembrerebbe.
La potente autobomba che ieri notte ha ferito 29 militari e raso al suolo il palazzo dei servizi di sicurezza a Shubra al-Khaima, un sobborgo del Cairo, è l'ennesimo segnale di un terrorismo sempre più virulento e diffuso. Un terrorismo in grado d'approfittare delle evidenti falle del sistema di difesa e prevenzione messo a punto da governo ed esercito. Un terrorismo alimentato da migliaia di ex-militanti dei Fratelli Musulmani che -dovendo scegliere tra la prospettiva di pesanti condanne detentive comminate con l'accusa di terrorismo e l'effettiva lotta armata hanno preferito quest'ultima.
A preoccupare ancor di più è la rivendicazione diffusa su twitter da Wilayat Sinai (Provincia del Sinai) ovvero dalla succursale egiziana dello Stato Islamico nata dopo l'adesione al Califfato di Ansar Beit Al Maqdis (Partigiani della Casa Santa), il gruppo armato jihadista presente originariamente solo nel Sinai. «I soldati dello Stato Islamico - recita la rivendicazione - sono riusciti a penetrare con una autovettura nell'edificio nel cuore del Cairo l'attacco è destinato a vendicare i fratelli martiri». Se dietro l'attentato beffa al palazzo dove si coordinava la lotta al terrorismo c'è veramente lo zampino dello Stato Islamico allora c'è da preoccuparsi. Anche perché la bomba mercoledì notte arriva dopo l'uccisione di Tomislav Salopek, il 30enne ostaggio croato decapitato dallo Stato Islamico lo scorso 12 agosto e una serie di altri attacchi tra cui quello al nostro consolato e l'uccisione di un alto magistrato. Anche se la matrice della bomba alla nostra sede diplomatica resta incerta e l'assassinio del magistrato è opera di una filiazione armata dei Fratelli Musulmani, c'è quanto basta per temere l'attivazione di un terzo fronte dello Stato Islamico dopo quello iracheno siriano e quello libico. Un'attivazione estremamente preoccupante perché capace di colpire dall'interno e destabilizzare uno dei pochi stati mediorientali pronti a contrapporsi all'avanzata del Califfato. Da questo punto di vista la preoccupazione maggiore riguarda la costellazione di gruppuscoli messi insieme dai fuoriusciti della Fratellanza Musulmana pronti al grande balzo nella lotta armata. Molte delle rivendicazioni inedite o estemporanee degli ultimi mesi (l'attentato al nostro consolato è stato rivendicato con il logo di Wilayat Sinai ma, per la prima volta, con la scritta Stato Islamico Egitto) fanno pensare alle azioni di gruppi decisi a dimostrare le proprie capacità per farsi accettare come parte del Califfato.
Se effettivamente queste schegge armate venissero unificate dando vita ad un secondo tentacolo del Califfato in grado di operare con continuità non solo nel Sinai, ma anche al Cairo, ad Alessandria e nell'Egitto Meridionale allora il presidente Sisi dovrebbe veramente temere l'accerchiamento. Anche perché a quel punto il Califfato avrebbe trasformato l'Egitto nel vaso comunicante capace di collegare il Sinai con la Libia e la Tunisia ad ovest e con la penisola arabica ad est.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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