N on è un mistero che il contribuente italiano dimori stabilmente ai primissimi posti nella classifica dei più tartassati d'Europa. Un «primato» che si ripercuote su tutti i cittadini e che per le imprese si trasforma in una vera e propria corsa ad handicap, con avversari molto più leggeri e competitivi.
La Cgia di Mestre, nonostante la scomparsa del suo dirigente più rappresentativo, Giuseppe Bortolussi, due giorni fa ha provato a calcolare quale sarebbe l'effetto per le tasche degli italiani di un riallineamento della nostra tassazione a quella media europea. Ebbene il «verdetto» si traduce in una cifra di tutto rispetto: avremmo in tasca 904 euro l'anno in più. Il confronto con alcuni grandi Paesi è impietoso. Se confrontiamo i nostri dati con quelli della Germania, infatti, emergono 1.037 euro in più all'anno rispetto ai contribuenti tedeschi. La forbice si allarga ancora di più se paragoniamo le tasse italiane a quelle olandesi (1.409 euro in meno) e portoghesi (1.701 euro in meno). Ci va ancora peggio nel confronto con gli inglesi (2.313 euro in meno) e gli irlandesi che pagano oltre 3.300 euro in meno di noi ogni anno.
Chi sta peggio di noi, in questo calcolo del differenziale di tassazione, sono gli austriaci (+80 euro), gli svedesi (+292 euro) i belgi (+984 euro) e i francesi (+1.170 euro) che si collocano al primo posto della classifica con una pressione del 47,8% del Pil. L'Italia è dunque quinta, in questa speciale classifica, anche se poi ovviamente il prelievo fiscale va parametrato alla qualità del servizio che lo Stato è in grado di fornire ai suoi cittadini.
La media della tassazione nell'Europa dei 28 si attesta sul 40%. E la situazione italiana, stando ai dati dell'associazione degli artigiani di Mestre, non ha fatto altro che peggiorare negli ultimi tre lustri, passando dai 44 euro in meno rispetto alla media Ue del 2000, ai 126 euro del 2004 fino ai 904 euro nel 2014, con una pressione oltre il 43%. «Per pagare meno tasse - rileva Paolo Zabeo della Cgia - è necessario che il governo agisca sul fronte della razionalizzazione della spesa pubblica; con tagli agli sprechi e alle inefficenze della macchina pubblica. Inoltre, questa operazione dovrà essere realizzata molto in fretta. Entro il 30 settembre, a seguito della mancata autorizzazione dell'Ue all'estensione del reverse charge alla grande distribuzione, il governo dovrà reperire 728 milioni di euro, altrimenti è previsto un aumento delle accise sui carburanti di pari importo». E per evitare un nuovo aumento delle imposte, l'esecutivo dovrà sterilizzare una serie di clausole di salvaguardia estremamente impegnative. Sebbene il ministro Pier Carlo Padoan abbia in più di un'occasione scongiurato un nuovo aumento del carico fiscale, dovrà trovare oltre 16 miliardi per evitare un aumento delle entrate di pari importo nel 2016. Tagli che dovranno salire a 25,4 miliardi nel 2017 e a 28,2 nel 2018. «Visti i risultati ottenuti con la spending review l'impressione è che sarà molto difficile centrare questi obiettivi». In realtà quella di cui parla la Cgia è la classifica della «pressione fiscale ufficiale». Come calcolato dalla Fondazione dei Dottori Commercialisti, in quella della «pressione fiscale effettiva» (quella che non comprende nel Pil il computo dell'economia sommersa) è assolutamente prima con il 52,2%, distanziando di oltre 2 punti la seconda, rappresentata dalla Danimarca.
di Fabrizio de Feo
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