Gli italiani scampati alla strage "Siamo vivi per miracolo"

Cinque connazionali erano nel locale: "Salvi solo perché ci siamo gettati a terra, spari dappertutto"

Gli italiani scampati alla strage "Siamo vivi per miracolo"

Il terrore negli occhi. L'angoscia nel cuore. Un mix dramatico che non dimenticheranno per il resto della vita. Esistenze che non si sono spezzate solo per miracolo. Scampati alla strage di Istanbul.

È la sorte toccata a tre modenesi che si trovavano al «Reina», il night sulla riva del Bosforo: mai, come ieri, scuro di morte. I tre modenesi stavano trascorrendo l'ultima sera del 2016 in compagnia di amici italiani, di Palermo e di Brescia anche loro per lavoro nella capitale Turca.

«È accaduto tutto in un istante - hanno raccontato a Trc-Telemodena -. La gente festeggiava e mangiava, e quando sono stati esplosi i primi colpi è scattato il panico».

«Non appena abbiamo sentito i colpi - testimoniano i nostri connazionali - ci siamo gettati a terra per schivare le pallottole. In quella bolgia ci siamo accorti di essere feriti. Ma niente di grave, solo qualche graffio».

I modenesi hanno anche fornito una loro ipotesi circa la dislocazione all'interno di quello che potrebbe essere stato un commando. Hanno infatti raccontato di aver udito spari arrivare da più direzioni, e di aver visto anche loro il terrorista, secondo alcuni vestito come Babbo Natale, in realtà pare avesse un cappello di lana lungo in testa, con il mitra che sparava sulla gente. Senza pietà.

«Colpi partiti dalle scale della pista centrale del locale, che ha anche tre sale da pranzo - raccontano i testimoni -: il secondo punto di fuoco è stato al piano superiore, quello del ristorante giapponese, e molte delle persone in fuga sono rimaste ferite anche dalla folla in preda al panico. Siamo ancora sotto choc».

Analoga la ricostruzione degli altri due italiani (un palermitano ed una ragazza bresciana) che si trovavano in compagnia dei tre modenesi: «Improvvisamente è arrivato quell'uomo. È entrato subito in azione e abbiamo capito che si trattava di un attentatore». Il raccolto si fa drammatico: «La tragedia si è consumato in pochi attimi. Stavamo festeggiando quando sono esplosi i primi colpi ed è scattato il panico nel locale, volavano proiettili da ogni parte. Sembrava una guerra. L'attentatore sparava con un kalashnikov nel locale e sembrava non volersi fermare mai».

E poi: «Ci siamo gettati a terra nella confusione e concitazione di attimi durati un'eternità sotto il rumore assordante di colpi: quell'uomo, armato di mitra, sparava all'impazzata sulla folla, a bruciapelo dalla scala della pista centrale della discoteca ma anche al piano superiore, dove si trova il ristorante giapponese. Si è creata una calca di persone che cercava disperatamente scampo. È stato durante questa fase caotica che abbiamo temuto di morire soffocati, travolti dalla folla». E invece è andata bene: solo qualche escoriazione per i tre modenesi e il palermitano ed un ferita lieve sopra l'occhio per la ragazza bresciana.

Ma la paura è rimasta e, con essa, la consapevolezza di essere dei miracolati.

Ne è cosciente anche il premier italiano Gentiloni che ha inviato un messaggio di solidarietà ai nostri connazionali scampati alla strage, parlando in una nota di «vile e brutale attacco».

Non sono mancate, ovviamente, le condoglianze a Erdogan e ai parenti di chi ha trovato la morte in quella che doveva essere la notte più gioiosa dell'anno: «Il nostro pensiero va alle vittime innocenti la cui vita è stata spezzata da ferocia inumana proprio nella normalità della condivisione di un momento di festa».

«Le lacrime non bastano. Dobbiamo continuare a lottare contro il terrore» ha scritto in un tweet il ministro degli Esteri, Alfano.

Ma contro il terrorismo i tweet retorici non servono a nulla.

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