Jobs Act e dipendenti spiati, i dubbi del Garante

Roma. Il decreto del Jobs Act all'esame delle Camere deve impedire «forme ingiustificate e invasive di controllo» dei lavoratori, «nel rispetto della delega e dei vincoli della legislazione europea», evitando «una indebita profilazione delle persone che lavorano». Il presidente del Garante della privacy, Antonello Soro, nel corso della Relazione annuale, ha invitato l'esecutivo a «ordinare i cambiamenti resi possibili dalle innovazioni in una cornice di garanzie» invitando a «coniugare l'esigenza di efficienza delle imprese con la tutela dei diritti».

Dall'ex parlamentare del Pd è giunto un assist insperato per sinistra e sindacati che da tempo contestano l'innovazione contenuta nel ddl sul mercato del lavoro. Il ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, ha cercato di attutire l'impatto delle parole di Soro. «Il decreto è equilibrato», ha ribadito aggiungendo, però, che «il governo è pronto a prendere in considerazione ipotesi di modifica». La norma contestata, infatti, consente di utilizzare gli strumenti di lavoro dei dipendenti come pc, tablet e smartphone (oltre ai tradizionali sistemi di videosorveglianza) per verificare, nel rispetto della privacy, la loro efficienza. Un'innovazione che limita fortemente lo strapotere sindacale in materia di relazioni industriali.

Il presidente della Camera, Laura Boldrini, ha colto la palla al balzo per invitare il Parlamento «a fare chiarezza sui dubbi emersi» ma, come ha spiegato il presidente della commissione Lavoro del Senato Maurizio Sacconi, «non c'è nessun rischio di profilatura del lavoratore», a meno che quest'ultimo non approfitti delle tecnologie rese disponibili dall'azienda (pc e telefonino) per un uso di carattere privato. La Cgil ha già annunciato una mobilitazione destando qualche timore tra i renziani.

Soro ha lasciato la Camera nel 2012 dopo essere stato deputato per cinque legislature dal '94

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