«Johnson è spericolato Spinge il Regno Unito verso la disgregazione»

Il politologo della City University: «Scozia pronta a lasciare e Irlanda a rischio scontri»

Gaia Cesare

«Johnson è un politico spericolato, un giocatore d'azzardo che sta giocando con la Costituzione, abituato a guardare sempre avanti e mai indietro. La sua mossa di sospendere il Parlamento è legittima dal punto di vista costituzionale, altrimenti la regina non avrebbe approvato la richiesta. Ma sul piano politico, può ancora essere fermata», spiega David Blunt, docente di Politica Internazionale alla City University di Londra.

Che succede ora? Si apre una dura battaglia.

«Sul piano costituzionale, è possibile che venga coinvolta la Corte Suprema, per un parere giuridico. Ma se la regina ha dato il suo via libera, dubito che si possa provare che l'iniziativa di Johnson sia incostituzionale. È probabile invece che si arrivi a un voto di sfiducia tra il 9 e il 12 settembre e che il governo cada. Che poi è l'obiettivo di Boris: forzare un'elezione anticipata».

Non è un rischio troppo grande anche per il premier?

«È il suo obiettivo. Presentarsi agli elettori come il leader che rispetta il volere della gente, mettendo il popolo contro il Parlamento e se stesso in difesa del popolo».

Il Parlamento lo sfiducerà?

«Bastano poche decine di voti dei Conservatori moderati. E la mossa di Johnson potrebbe aver convinto i Remainers Tory, come l'ex ministro delle Finanze Hammond, a votare per buttare giù questo governo».

Si arriverebbe automaticamente a elezioni?

«Non necessariamente. L'alternativa è che, nei 14 giorni dopo la sfiducia, si formi un governo di unità nazionale oppure si vada a elezioni avendo rimosso la possibilità di un No Deal, chiedendo un'estensione della Brexit. Sempre che la Ue accetti».

L'Unione europea aspetterà ancora?

«Penso che lo farà. E si arriverebbe a elezioni generali con una nuova proroga».

Johnson sta restituendo al Regno Unito la garanzia di rispettare la volontà popolare e l'orgoglio british?

«Sì, certo, ed è la ragione per cui molti sono attratti da lui e da Farage. Fa appello alla old Britain che guarda con nostalgia al suo passato dorato. Ma quando parla di rispetto della volontà popolare, fa disinformazione. Non prende in considerazione gli ultimi tre anni, il fatto che il referendum è stato consultivo, non ha avuto il livello di esame minuzioso necessario e i cittadini erano convinti che si sarebbe usciti con un accordo».

La crisi rischia di distruggere il Regno Unito?

«Sì, l'Unione è a un passo dalla rottura. Con il No Deal, il secondo referendum sull'indipendenza della Scozia sarebbe inevitabile. E gli scozzesi sono diventati ancora più europeisti in questi tre anni. Inoltre, le violenze politiche in Irlanda sono pronte a riesplodere».

Ma un accordo commerciale con gli Stati Uniti fa gola.

«Trump vede la Ue come un rivale politico. Allontanando il Regno Unito dalla Ue, cerca di indebolirla. Ma Johnson non avrà vita facile a Washington. Trump ha già dimostrato in passato di essere un abilissimo uomo d'affari. Con Londra disperata per un accordo, lui ne proporrà uno che non aiuterà il business inglese, come è successo con il Messico e il Canada. E poi la Speaker della Camera Pelosi ha già detto che non accetterà un'intesa che non rispetti l'Accordo del Venerdì Santo sulla pace in Irlanda. L'idea che gli Usa ci libereranno è molto ingenua».

E il secondo referendum?

«Penso sia la migliore soluzione, ma non credo si farà. Richiederebbe una proroga lunga dall'Ue e che Corbyn andasse al governo prima del 31 ottobre».

Improbabile?

«Non è detto.

Boris ha deciso di annullare Farage, ma in caso di elezioni anche un 7%-10% del Brexit Party apre lo spazio a una coalizione tra Laburisti e LibDem. E i Tory anti-Brexit, che Boris si è alienato, voteranno LibDem. Ma temo sia più probabile si arrivi al No Deal il 31 ottobre».

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