Roberto Pellegrino
Madrid «Sono accusato per le mie idee e non per le mie azioni. L'applicazione dell'articolo 155 mi ha deposto dalla mia carica e, poiché non rinuncerò alle mie convinzioni democratiche, mi considero in questo momento un prigioniero politico. Questo è un processo politico e non risponderò alle domande del pubblico ministero». Oriol Junqueras, ex vice presidente della Catalogna, leader della Sinistra repubblicana catalana (Erc), si presenta con queste parole al collegio giudicante del Tribunale Supremo. È l'imputato più atteso nel terzo giorno della terza sessione del processo agli autori dello sventato golpe catalano contro il governo di Madrid. Tuttavia si nega alla Procura di Stato, all'Avvocatura e all'accusa popolare di Vox, scegliendo di rispondere soltanto, nelle due ore d'interrogatorio, al suo avvocato, Andreu Van den Eynde.
Racconta la sua parabola esistenziale di politico, la sua passione, poi passa a elencare che cosa significa per lui l'autodeterminazione dei popoli e l'indipendenza. E qui sembra già comizio. «Siamo democratici e repubblicani. Difendiamo l'uguaglianza, le opportunità e la giustizia sociale. Il modo migliore per incarnare tutti questi valori ci porta a essere indipendenti». E continua. «Questo diritto deve essere riconosciuto. È noto in tutto il mondo che siamo autodeterminati. È compatibile con molte altre cose e noi siamo molte altre cose oltre all'indipendenza».
Grande delusione in sala per chi si aspettava un battibecco con la pubblica accusa. I toni sono pacati, e lui sa che l'assenza del suo capo, Carles Puigdemont, ex numero uno della Generalitat, che l'ha lasciato nelle grane a fine ottobre del 2017 fuggendo a Bruxelles, lo pone al centro del processo, come unico alto funzionario a parare le accuse. Quando il pm ricorda le violenze scatenate il giorno del referendum per l'autodeterminazione, finito in guerriglia urbana tra indipendentisti e Guardia Civil, lui ricorda la notte che fu portato a Madrid dalla polizia giudiziaria per essere ascoltato e arrestato, dopo che la Catalogna era stata commissariata da Mariano Rajoy, ripete di essere «un prigioniero politico», e sottolinea: «Non ho mai ordinato né invitato a compiere atti di violenza». E accusa Madrid. «Ci hanno costretti a celebrare il referendum» che fece infuriare Rajoy. Perché lui, dopo sedici mesi di galera, crede ancora nel dialogo, mentre, come se non stesse rispondendo a quattro pesanti capi d'accusa che valgono venticinque anni di galera (solo dodici secondo l'Avvocatura), ma vuole mediare tra il suo popolo, oppresso, e la Spagna.
«Ci siamo sempre seduti al tavolo, ma la sedia di Madrid era vuota. Nulla di ciò che abbiamo fatto è un reato». E quando salta fuori il famoso documento, un manuale per il golpe, da lui firmato, Junqueras alza la voce per la prima volta: «Non lo conoscevo, non l'avevo mai visto».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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