Kim minaccia la guerra: «Abbatteremo gli aerei Usa»

Il Pentagono replica alle provocazioni di Pyongyang: «Abbiamo un arsenale immenso per occuparci di voi»

Roberto Fabbri

«Gli Stati Uniti ci hanno chiaramente dichiarato guerra, è dunque nostro diritto abbattere i loro jet militari». «Assurdo, nessuna dichiarazione di guerra. Ma se le provocazioni nordcoreane continueranno, abbiamo un arsenale immenso a disposizione per occuparci di loro». Lo scambio verbale tra Pyongyang e Washington tocca ormai vertici al calor bianco, facendo temere che la retorica di guerra possa sfuggire di mano a chi la gestisce. Anche perché, soprattutto nel caso di Kim Jong-un, non si tratta di leader con grande esperienza politica alle spalle, e tantomeno particolarmente avvezzi all'autocontrollo.

È stato il ministro degli Esteri nordcoreano, Ri Yong-ho, parlando ai giornalisti a New York in una rara occasione d'incontro presso l'hotel che lo ospita durante l'assemblea generale dell'Onu, a spingersi un passo oltre la linea rossa della minaccia esplicita di guerra. «Dato che gli Stati Uniti hanno chiaramente dichiarato guerra al nostro Paese, avremo ogni diritto di prendere delle contromisure, incluso il diritto di abbattere i bombardieri speciali americani anche quando non sono nel nostro spazio aereo», ha detto il ministro.

Il riferimento è alle parole pronunciate da Donald Trump in questi ultimi giorni. Il presidente americano, parlando dal palco del Palazzo di Vetro, aveva definito Kim «un rocket man in missione suicida», guadagnandosi peraltro una rara risposta ad personam del dittatore nordcoreano, che gli aveva dato senza mezze misure del vecchio rimbambito. Tanto è bastato, secondo Ri, per attirargli minacce di guerra aerea, ricordando che «la carta dell'Onu sancisce il diritto all'autodifesa per ogni Paese». Il capo della diplomazia di Pyongyang non ha neanche resistito alla tentazione di scimmiottare lo stesso Trump, dichiarando alla stampa che «ogni opzione è ora sul tavolo».

In realtà, è evidente che questa frase minacciosa appare più sensata sulla bocca del presidente degli Stati Uniti. Ieri, quando le parole di Ri Yong-ho sono state rese note, la risposta di Washington è stata affidata direttamente al Pentagono. «Se la Corea del Nord non cesserà le proprie azioni provocatorie - ha detto il colonnello Robert Manning, portavoce del ministero della Difesa americano - ci assicureremo di fornire al presidente tutte le opzioni necessarie per occuparsi di quel Paese». Gli Stati Uniti, ha aggiunto Manning, «dispongono di un immenso arsenale e tutte le opzioni sono sul tavolo». Più tardi è intervenuta anche la portavoce della Casa Bianca: «Assurdo, non c'è nessuna nostra dichiarazione di guerra»

Le opzioni di cui parla il Pentagono sono in effetti piuttosto varie, anche se nessuna di queste pare in grado di risolvere il problema in maniera indolore, in particolare per i sudcoreani che si ritroverebbero la guerra in casa: si va dal ricorso alla cyberguerra per paralizzare i gangli nevralgici del «regno eremita» a un blitz aereo per distruggere i siti nucleari nordcoreani a un intervento dei corpi speciali americani e

sudcoreani per assassinare Kim Jong-un e i suoi gerarchi; da una guerra preventiva scatenata all'improvviso a una devastante risposta nucleare qualora il dittatore fosse talmente pazzo da colpire per primo gli americani.

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