Cronaca giudiziaria

L'accusatrice di Grillo jr: "Ho tentato il suicidio"

In aula la vittima racconta la notte dello stupro: "Ero paralizzata, dopo l'alcol abusarono tutti di me"

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«Dopo lo stupro di gruppo ho tentato il suicidio. Correvo di notte lungo i binari del treno». Silvia sapeva che sarebbe stata dura. Anche se ha avuto quattro anni per prepararsi, dalla mattina di agosto in cui scelse di entrare in una caserma dei carabinieri e raccontare la sua storia: la storia della notte passata in Costa Smeralda, nella villa di Beppe Grillo, insieme al figlio del comico e a tre suoi amici. Fin dal giorno della denuncia la ragazza sapeva che prima o poi le sarebbe toccato presentarsi in un'aula di tribunale e ripetere le sue accuse davanti a tutti; a dire di essere stata stuprata, a ripetizione, mentre non era in grado di difendersi. Quel momento è arrivato ieri, ed è stato duro davvero. Come lo immaginava, forse anche di più. E non è finita, il peggio arriva oggi, quando verrà torchiata dai difensori dei quattro imputati.

Ieri Silvia è crollata dopo appena un quarto d'ora, sopraffatta dall'emozione, quando aveva appena iniziato a raccontare come dai drink bevuti con la sua amica Roberta in un locale, senza mangiare niente, si arrivò all'incontro al Billionaire con i quattro ragazzi, educati, gentili, simpatici, e altro alcol che arriva sui tavoli; fino all'approdo nella grande villa di Arzachena. Si è fermata, è scoppiata in lacrime, il giudice Marco Contu ha sospeso l'udienza. Poi Silvia si è ripresa, ed è stata implacabile.

«Fui costretta a bere della vodka da una bottiglia. Vittorio mi afferrò la testa con la forza e con una mano mi teneva il collo, con l'altra mi forzava a bere». È la scena finale, lo stupro di gruppo dopo quello subito da Francesco Corsiglia. Arrivano gli altri tre: Vittorio Lauria, Ciro Grillo e Edoardo Capitta, e finiscono di stordirla. Di quanto accade subito dopo, Silvia ha un ricordo preciso, angosciante: «Io volevo urlare ma non ci riuscivo. Volevo gridare ma ero come paralizzata. La voce non mi usciva dalla gola». Uno dopo l'altro, si approfittano di lei. In attesa del proprio turno guardano, ridono, filmano. «Uno l'ho visto in faccia perché stava sotto di me. Gli altri li ho riconosciuti dalle voci».

A interrogare la studentessa italo-norvegese è il procuratore Gregorio Capasso. Capasso le crede, è convinto profondamente che il 16 luglio 2019 nella villa di Arzachena non andò in scena una notte di sesso allegro tra una brigata di ragazzi consenzienti, ma un brutale stupro di gruppo. Anche Capasso incalza Silvia con le domande, riprende le risposte date quattro anni fa ai carabinieri: ma con lo scopo di aiutarla a ricordare, non di farla cadere in contraddizione.

Si è parlato anche di quanto accadde dopo. Nelle ore e nei giorni successivi, prima che Silvia decidesse di sporgere denuncia. E anche di oggi, dello strascico che quella notte le ha lasciato addosso, la voglia di farsi male, la maledetta sensazione che nulla possa essere dimenticato: «Faccio atti di autolesionismo e ho disturbi alimentari».

Oggi, la parola alle difese, che annunciano battaglia: «Ci sono molte contraddizioni tra i racconti delle due ragazze», dice il legale di Corsiglia.

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