Cronache

L'addio del re dei giocattoli che muore con la sua azienda

Nel '48 aveva fondato la più grande catena di negozi per bambini. Se ne va a una settimana dal fallimento

L'addio del re dei giocattoli che muore con la sua azienda

Aveva 94 anni, mister Charles Lazarus. E che sia morto appena una settimana dopo la dichiarazione di bancarotta della catena di giocattoli da lui fondata nel 1948 a Wayne, nel New Jersey, forse non è un caso. Si muore, a una certa età, quando ti viene a mancare il compagno, la compagna con cui e per cui hai vissuto gran parte della tua vita. Talvolta è proprio un marito, una moglie. Talaltra una creatura a cui hai dato vita plasmandola dal nulla.

Lazarus, un omarino rinsecchito e occhialuto, i pochi capelli rimasti a fargli corona intorno alle orecchie, era molte cose. Un multimiliardario, un uomo d'affari geniale e di straordinario successo, ma soprattutto un romantico, un cuore tenero. Una specie di Geppetto born in the USA. Gli piacevano i bambini. E gli piacevano i giocattoli. E se gli piacessero più questi che quelli non si è mai saputo. Però confessava sorridendo che il bambino che anche lui era stato aveva continuato ad abitare nel suo cuore, in qualche recesso della sua anima. E che i soldi, i posti di lavoro creati, le centinaia di negozi che inalberavano le insegne della sua armata, erano una bella cosa, certo. Ma niente a che vedere con l'entusiasmo, la gioia di un bambino, di una bambina, di fronte a un regalo lungamente atteso: una bambola, un burattino, un cavallo a dondolo, un trenino, un gioco elettronico (quando arrivarono anche quelli).

Si chiamava Toys «R» Us, la sua creatura. E se avete figli che abbiano almeno una quindicina d'anni non potete non sapere di cosa stiamo parlando. Era (in Italia era stata assorbita a un certo punto dalla «Giochi Preziosi») la più grande catena di negozi di giocattoli al mondo. Lazarus l'aveva inventata dal niente, a soli 25 anni, dopo un breve apprendistato in un negozio di Washington che vendeva mobili per bambini, lettini, camerette, cose così. Dicono che l'idea gli fosse venuta, nel '48, dando retta a chi aveva intuito che la guerra mondiale appena conclusa avrebbe innescato un formidabile «baby boom». Bambini come se piovesse. E di cosa hanno bisogno i bambini, a parte le coccole, l'amore e il latte della mamma? Ma di giocattoli, ovvio! Lazarus era lì per quello. Sarebbe stato lui, il giocattolaio d'America. E come si sarebbe chiamato il suo primo negozio, e gli altri che sarebbero seguiti? Ma ovvio. Qualcosa come «I giocattoli siamo noi», o «Chi cerca giocattoli deve venire da noi». Dove quella «R» rovesciata, nell'insegna, doveva essere un ghiribizzo infantile, un errore capace di strappare un sorriso a mamme e papà in cerca di un dono per i loro piccoli.

Negozio dopo negozio, città dopo città, da New York fino a Los Angeles, il giocattolaio d'America era approdato a Wall Street nel 1978. Passando da un miliardo di utili all'inizio degli anni Novanta agli undici miliardi del 2006.

A mettere in ginocchio il colosso dei giocattoli, se volessimo dargli un nome, potremmo fare quello di Jeff Bezos, il patron di Amazon, l'uomo più odiato al mondo dalla vasta corporazione dei commercianti: dai piccoli bottegai di una volta, fino ai proprietari di aziende commerciali medie e anche medio grandi: gente messa all'angolo, e spesso buttata fuori dal mercato dai giganti della grande distribuzione on line. Gente i commercianti di una volta - che quando gli chiedevi com'era fatto un oggetto, come funzionava, sapeva come risponderti; mostrava competenza, passione, conoscenza di com'erano fatti gli oggetti che proponeva. Provate oggi, in un grande supermercato, a chiedere informazioni a un commesso su ciò che sta cercando di rifilarvi.

A settembre dello scorso anno, Toys «R» Us aveva depositato l'istanza di procedura fallimentare assistita, puntando a risanare, nel corso di 1 anno, il debito contratto di oltre 400 milioni di dollari. La settimana scorsa, infine, la decisione irrevocabile di chiudere i battenti dei 735 negozi rimasti negli Usa.

Sette giorni dopo aver visto morire la sua creatura, mister Lazarus deve aver pensato che forse poteva chiudere anche i suoi, di battenti.

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