L'agenda Draghi vincola l'Italia. Troppi nodi aperti e rischio elezioni se va al Quirinale

No, mai una gioia. Non c'è nemmeno il tempo di godersi i fasti internazionali, di passare il weekend in famiglia e mettersi a spignattare in cucina, di fare due passi con Buvech, il bracco ungherese, che qui è già ora di rinfilarsi l'elmetto

L'agenda Draghi vincola l'Italia. Troppi nodi aperti e rischio elezioni se va al Quirinale

No, mai una gioia. Non c'è nemmeno il tempo di godersi i fasti internazionali, di passare il weekend in famiglia e mettersi a spignattare in cucina, di fare due passi con Buvech, il bracco ungherese, che qui è già ora di rinfilarsi l'elmetto. Tanta roba nell'agenda di Super Mario, tante rogne. La manovra da far approvare. Lo stato di emergenza da prolungare, sì o no, boh, chissà. E i vaccini da spingere. E il Pnrr da mettere ancora in sicurezza: ci sono ritardi, altro che soldi in tasca. E i decreti attuativi che stentano. E i partiti che litigano. E il Quirinale, poi: spostarsi o restare a Palazzo Chigi? Ma niente stress, il presidente del Consiglio, raccontano, è «tranquillo» e «concentrato» sull'azione di governo. Ai ministri solo un'indicazione, bisogna «accelerare», perché il pacchetto europeo va chiuso entro la fine dell'anno.

Che la missione affidata da Sergio Mattarella, salvare l'Italia, non fosse una passeggiata di salute, questo si era capito subito. Però, solo pochi giorni fa, quando presentando il Def ha annunciato che il Belpaese sarebbe cresciuto del sei per cento, ebbene la scommessa sembrava vinta e il trasloco, al di là delle reali intenzioni del diretto interessato, ormai cosa fatta. «Il quadro economico e di gran lunga migliore di quello che noi stessi pensavamo cinque mesi fa». Le parole di Mario Draghi hanno fatto pensare a molti che il peggio fosse alle spalle, l'operazione Recovery sulla via dell'incasso e lui ai saluti finali. Invece non è così. Non ancora, almeno: se il premier si sposta sul Colle, chi lo può sostituire? Le elezioni anticipate diventerebbero lo scenario più probabile.

E così eccolo prigioniero a Palazzo Chigi. Bloccato dalle cose da fare. Il Covid ha ripreso forza con i primi freddi. La quarta ondata sta travolgendo l'Europa, l'Italia sembra reggere meglio però i numeri dei contagi si alzano pure da noi. Niente a che vedere con l'anno scorso, grazie alla campagna vaccinale i casi sono un decimo del 2020 e gli ospedali tengono botta. La situazione non fa comunque stare sereni, la quota di irriducibili no vax non cala e le proteste di piazza contro il green pass non si fermano. Il 31 dicembre scadrà lo stato di emergenza, uno strumento fondamentale per velocizzare gli interventi contro il virus ma che diversi, anche nella maggioranza, considerano un atto autoritario.

Che fare, prorogarlo? Sospenderlo? Il governo «sta riflettendo» e per decidere aspetterà i dati delle prossime settimane. Insomma, prende tempo perché si tratta di una scelta che può creare malcontento e complicare la navigazione dell'esecutivo. L'obbiettivo principale della lotta al Covid resta quello di preservare per quanto possibile la normalità di vita riconquistata a fatica, a cominciare dall'apertura delle scuole. E visto che le prime dosi non crescono, sotto con le terze e con la vaccinazione dei giovanissimi.

Qualche problema anche sul fronte economico. Se la legge di bilancio in un modo o nell'altro verrà approvata, magari ricorrendo al voto di fiducia per bruciare i tempi e recuperare il ritardo, a impensierire il premier adesso è il piano di ripresa. Infatti, dei 51 obbiettivi da conseguire entro la fine del 2021, ad oggi ne sono stati raggiunti 29. Ne mancano dunque 22, senza i quali non arriveranno tutti i finanziamenti concordati con Bruxelles. L'Europa paga se vede le riforme completate: si parla di 14 miliardi per quest'anno. Al 30 settembre i target centrati erano solo 13, il miglioramento fa ben sperare, però Draghi chiede più velocità: il controllo sul lavoro dei singoli ministeri non sarà più mensile bensì settimanale: sotto osservazione Colao e Cingolani per alcune lentezze che pare si registrino nella transizione ecologica e nella digitalizzazione. Dubbi poi sulle capacità delle Regioni di realizzare gli ospedali e i posti letto previsti. Si segnalano inoltre diverse difficoltà nella stesura di progetti idonei, in particolare nel Sud. Il caso della Sicilia, dove sono stati bocciate 31 proposte per l'agricoltura perché piene di errori, è il più clamoroso.

Un problema anche la burocrazia: il governo ha prodotto 549 provvedimenti, molti però sono in attesa dei decreti attuativi.

Insomma, c'è ancora parecchio da fare per «mettere a terra» il Pnrr. «Draghi è l'unico che può garantire l'Europa sulla qualità delle riforme», spiega il ministro Mara Carfagna. Il Colle può attendere.

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