
C'è un luogo su questo nostro pianeta che io come tanti altri, forse un po' ingenuamente, credevamo intoccabile: l'Amazzonia. Chi se l'immaginava? Me lo chiedo spesso. Chi poteva pensare che la bruttezza delle nostre gesta sarebbe arrivata fin laggiù?
Sul Guardian Nina Gualinga ed Eli Virkina, due indigene dell'Amazzonia ecuadoriana, raccontano il disastro che sta spolpando la loro foresta, anch'essa aggredita dal consumismo e svenduta a un turismo che niente ha a che vedere con la salvaguardia del territorio. Avviene semmai il contrario. Gualinga e Virkina additano specialmente il turismo cosiddetto spirituale e curativo, per lo più incentrato sulla pratica del bere l'"hayakwaska": considerato dalla presunta società civile un banale decotto psichedelico, ma che in realtà rappresenta qualcosa di ben diverso, essendo quel cibo un riferimento altissimo, addirittura spirituale, incarnando un universo di relazioni, di cieli e terre in perenne comunicazione, di sacralità e riti, memorie ed emozioni: ora però a rischio estinzione, poiché commercializzati. Infiocchettati, messi sul mercato e sbattuti sul muso di milioni di clienti, come una banale lattina di Coca Cola. Solo che al posto di una bevanda gasata color fango si vendono pacchetti di medicina alternativa, si vende l'idea di un posto metà esoterico e metà cinematografico. L'Amazzonia in scatola. Una sorta di giungla plastificata che cessa di essere mito, rinuncia alla sua anima e diventa reclame, da spettacolarizzare e ancor di più da falsificare. In questo modo anche quella parola-mondo, "hayakwaska", viene storpiata in "ayahuasca": termine inesistente nell'idioma originari ma che si sta imponendo ovunque attraverso il feroce marketing turistico, causando un doloroso processo di cancellazione linguistica, oltreché valoriale e identitaria. Non dimentichiamo, poi, i social, che hanno iniziato a divorare anch'essi il grande corpo amazzonico, specie con contributi che lo semplificano e distorcono, un rigurgito di post inverosimili che in pochi minuti ti spiegano che dire e che fare, e come muoversi, come sopravvivere fra un anaconda e l'altra, cosa mangiare anche, come fossimo imbucati nel più prevedibile dei buffet.
Un tempo c'era Mister No, il personaggio dei fumetti ideato da Sergio Bonelli: ex pilota reduce della Grande Guerra, un antieroe solitario che a un certo punto si ritira in Amazzonia, da lui esplorata in ogni centimetro e descritta sempre con rispetto, coerenza, generosità, ma soprattutto con mistero.
Ora invece quel posto lo descrivono le agenzie di viaggio. Lo raccontano telefoni e pubblicità. Lo recensiscono gli influencer, che altro non sono che narratori senza storie. Lo tramanda l'etica della mercificazione che rende tutto cosa, oggetto, prodotto, Amazzonia compresa.