Milano - I suoi compagni di classe del liceo Parini se la ricordano ancora: già allora magra, complessa, determinata. Adesso su Martina Levato, studentessa della Bocconi, pesa un'accusa che la terrà in cella a lungo: comunque vadano le cose, e qualunque sia la convinzione che si farà il giudice il prossimo 8 gennaio. E, paradossalmente, la pena sarà tanto più severa quanto più Martina verrà creduta. Perché è lei, ora, la più implacabile accusatrice di se stessa, quando dice «ho fatto tutto da sola»; e prende solo su di sé la responsabilità di avere attirato in trappola il suo vecchio compagno di scuola Pietro Barbini, e avergli lanciato in faccia una sventagliata di acido muriatico.
Martina ha confessato lunedì, in aula, durante l'udienza di convalida. Ed è tornata a ripeterlo ieri, in cella, davanti al suo avvocato Paola Bonelli. «Pietro non è mai stato il mio ragazzo. Anzi, mi perseguitava, mi infastidiva, mi faceva avances di continuo». Per questo, dice, ha deciso di fargliela pagare. Ma è un racconto che non sta in piedi, fragile quanto la ragazza che lo ha messo a verbale. La versione fa acqua dappertutto. E soprattutto quando Martina cerca in ogni modo di salvare il vero dark boy di questa storia: il suo coimputato Alex Boettcher, marcantonio biondo con due donne, due case, sedicente broker di Borsa che in Borsa nessuno si ricorda, una strampalata candidatura alle ultime regionali nelle liste di Giulio Tremonti, dodici preferenze in tutto. In aula, lunedì, Boettcher taceva, mentre Martina inanellava confessioni. Ma anche così, sui 10 metri che separavano i due ragazzi della Milano bene, aleggiava un rapporto perverso di sudditanza e quasi di plagio. Un rapporto di cui i bisturi trovati nel piedaterre del tedesco, usati per marchiare le sue conquiste (come avrebbe fatto con Martina, incidendole l'iniziale del suo nome sulla guancia anche se lei nega), sono per gli inquirenti la rappresentazione più cruda. Continuerà a tacere, Boettcher, sperando di limitare i danni? In ogni caso il conto sarà pesante, soprattutto se dovesse andare male l'operazione con cui questa mattina i medici cercheranno di salvare l'occhio destro della vittima. A quel punto l'accusa diventerebbe di lesioni personali gravissime, e la pena salirebbe fino ai sedici anni di carcere. In aula, l'8 gennaio, sia Pietro Bertini che i suoi genitori si costituiranno parte civile, con l'avvocato Paolo Tosoni, contro entrambi gli imputati.
Ma sulla testa di Alexander e Martina pende un altro sospetto, che se prendesse corpo costringerebbe a riscrivere in buona parte questa storia. Su incarico del pm Marcello Musso e del procuratore aggiunto Alberto Nobili, la polizia sta incrociando i tabulati telefonici dei due arrestati per l'aggressione a Pietro Barbini con quelli emersi durante le indagini su altri casi di aggressione al vetriolo compiute in questi mesi a Milano. Per ora è uno scrupolo o poco più, «non crediamo - dice una fonte vicina agli investigatori - di trovarci di fronte a criminali seriali». Ma ci sono somiglianze con almeno uno di questi episodi, l'agguato che il 2 novembre scorso ebbe per vittima un altro studente universitario di economia: anche lui, colpito dall'acido al volto, rischiò di perdere l'occhio. Il movente è rimasto sconosciuto, ma la convinzione della vittima era di un attacco mirato e premeditato.
Se si scoprisse che in qualche momento la pista di quella prima vittima aveva incrociato Martina o Alex, tutto cambierebbe. Se così non fosse, resterebbe da chiedere che male affligga una città in cui i conti si regolano con l'acido muriatico.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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