L'anomalia: Milano indagava su se stessa

I veleni di Armanna contro i pm di Eni non vennero trasmessi a Brescia

L'anomalia: Milano indagava su se stessa

È possibile che una Procura indaghi su se stessa? Che a scavare su episodi di gravità inaudite siano i colleghi dei magistrati che ne sono rimasti vittime, o che ne sono responsabili? Ovviamente no. Eppure questo è quanto accaduto per anni a Milano, in quel gigantesco contenitore che era diventata l'indagine sul complotto che i vertici dell'Eni avrebbero organizzato per affossare le inchieste sulle tangenti distribuite in Africa. Complotto che ora si scopre non essere mai esistito se non nei piani di Piero Amara e Vincenzo Armanna (nel tondo a destra), avvocati-calunniatori, e dei loro sodali nel sottobosco del colosso del cane a sei zampe.

Almeno due, ed eclatanti, sono i passaggi in cui l'inchiesta della Procura milanese avrebbe dovuto essere interrotta e immediatamente trasmessa a Brescia, alla Procura competente per i reati commessi o subiti dai magistrati milanesi. La prima è quando in una intercettazione un sodale dei due mestatori accusa il pm Fabio De Pasquale (nel tondo a sinistra) di avere ricevuto dei soldi. La seconda è quando compare una strana mail, a firma dello stesso De Pasquale. Sulla prima, la Procura di Milano non fa nulla. Sulla seconda, avvia una serie di accertamenti per verificare se De Pasquale sia effettivamente il titolare della mail da cui è partito il messaggio.

La calunnia a carico di De Pasquale spunta nell'intercettazione che il 27 marzo 2017 la Finanza realizza all'aeroporto di Linate. A parlare sono Massimo Gaboardi, l'improbabile personaggio (tipo: sessantamila euro di debiti in sala corse) arruolato dall'avvocato Amara per le sue trame. Gaboardi incontra Gaetano Drago, un altro dell'entourage di Amara. Parlano delle indagini e degli articoli che stanno iniziando a uscire. «Da due anni De Pasquale - dice Gaboardi - sta usando Armanna per accusare quei due lì», ovvero l'amministratore delegato Claudio Descalzi e il suo predecessore Paolo Scaroni. E poi: «Bisogna dare i soldi al pm di sotto, che oltretutto si è beccato...». Ribatte Drago: «Anche De Pasquale si è preso i soldi». Gaboardi: «Sicuramente prima». Perché i due chiamano in causa il procuratore aggiunto di Milano? Sanno di essere ascoltati e vogliono far transitare il loro fango nelle trascrizioni? L'intercettazione dovrebbe essere subito mandata a Brescia, perché incrimini i due. Invece non succede niente, e il dialogo rimane sepolto per anni nel gigantesco faldone del procedimento sul presunto complotto.

Ancora più surreale è quanto avviene quando sul cellulare di Vincenzo Armanna, l'altro ex avvocato di Eni oggi imputato per calunnia, spunta lo screenshot di una mail che sembra provenire da De Pasquale, e che denoterebbe una confidenza eccessiva tra magistrato e indagato. È lo stesso telefono che custodisce molti dei segreti di Armanna, compresa la falsa chat con Descalzi. Il pubblico ministero milanese Paolo Storari, che ha fatto sequestrare lo smartphone dell'avvocato, inizia una serie di accertamenti sulla casella di posta fabio.depasquale@gmail.com, da cui pare provenire il messaggio per Armanna. Partono le rogatorie in direzione di Google, per capire se l'intestatario sia effettivamente il pm milanese. Emergono una serie di omonimi, tra cui un pilota residente a Doha, ma che non ha mai avuto contatti con Armanna in vita sua. Il 10 febbraio dell'anno scorso, la Guardia di finanza scrive alla Procura di Milano che l'accertamento «non ha rilevato alcun collegamento tra il citato Fabio De Pasquale e gli eventi relativi al procedimento penale in oggetto né tantomeno ha individuato alcuna evidenza su eventuali contatti intercorsi tra lo stesso e l'indagato Armanna. Pertanto non si può escludere che lo screenshot della mail inviata dall'account fabio.depasquale@gmail.com non sia riferibile ad una reale comunicazione pervenuta all'indagato quanto piuttosto ad una mera indagine artefatta».

Armanna, insomma, avrebbe realizzato al computer una finta mail, in modo tale che sembrasse inviata dal pm che in quel momento indagava su Eni. È un episodio inquietante, di cui evidentemente De Pasquale è vittima. E tutto doveva venire trasmesso immediatamente a Brescia.

Ma il processo Eni, basato anche sulle rivelazioni di Armanna a De Pasquale, sarebbe stato compromesso. Così la finta mail rimase lì, nei cassetti della Procura milanese. E i miasmi di quel veleno contribuirono ad appestare il clima.

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