San Paolo. L'Argentina va al voto oggi con la certezza quasi matematica della vittoria già al primo turno del sessantenne Alberto Fernández. Peronista da tutta la vita, in passato ha lavorato già per quattro presidenti, Carlos «el Turco» Menem, Eduardo «el Cabezón» Duhalde, Néstor «el Pinguino» Kirchner e sua moglie Cristina «la Abogada Exitosa» Fernández, che lo accompagna nel ticket elettorale come vicepresidente. Le primarie dello scorso 11 di agosto avevano visto, infatti, stravincere proprio la coppia dei Fernández, con un vantaggio incolmabile di oltre 4 milioni di voti sul presidente uscente, il sessantenne Mauricio Macri che, nonostante abbia percorso in lungo e in largo il Paese con comizi all'insegna del «Sí, se puede» - lo slogan di campagna elettorale «Sì, si può» che scimmiotta l'obamiano «Yes we can» - è dato per sconfitto con oltre 15 punti percentuali da tutti i sondaggi.
Più che soffermarci sull'esito di un'elezione scontata per arrivare al secondo turno Macri dovrebbe raccogliere tutti i voti degli altri candidati minori, dall'ex ministro dell'Economia di Néstor, Roberto Lavagna, al liberale José Luis Espert, passando per il comunista Nicolás del Cano e il conservatore Juan José Gómez Centurión e convincere tutti gli indecisi cerchiamo di capire quale peronismo sarà quello incarnato dal prossimo presidente, Alberto Fernández.
Già perché in Argentina dire peronismo significa tutto ed il contrario di tutto, basti pensare alla sua versione neoliberale incarnata da Menem totalmente opposta a quella chavista interpretata dal kirchnerismo. Di certo c'è che l'esito scontato del voto di oggi si deve al colpo di genio di Cristina Kirchner che, nel maggio scorso, durante la presentazione di una sua autobiografia, ha annunciato sorprendendo tutti che lei si sarebbe candidata «solo» come vicepresidente, appoggiando Alberto il cui obiettivo era proprio quello di riunire il peronismo, all'epoca frammentato in almeno cinque fazioni.
E se l'unica incognita oggi è rappresentata dalle urne elettroniche Smartmatic le stesse usate dal Venezuela chavista che, paradossalmente, i peronisti hanno criticato ieri a dimostrazione di come sia percepito trasversalmente come un sistema manipolabile resta da vedere chi poi di fatto comanderà tra Alberto Fernández e la sua ingombrante vice a partire dal prossimo 10 dicembre, quando ci sarà il passaggio di consegna della fascia presidenziale. Altra incognita è capire come reagiranno da domani i mercati perché oggi l'Argentina è in uno stato di crisi tremenda, quasi come alla fine del 2001 quando poi dichiarò il default.
Quello del tango è un Paese grande dieci volte l'Italia che alla fine della Seconda Guerra mondiale era considerato il «granaio del mondo». Quando Macri si era insediato nel dicembre del 2015, dopo dodici anni di Kirchner al potere Néstor dal 2003 al 2007 e poi sua moglie le sue promesse erano chiare: fare scendere l'inflazione che all'epoca era del 30 per cento, portare fuori dalla povertà 12 milioni di persone, fare ripartire la produzione, aumentare il lavoro e rimpinguare le riserve della Banca centrale ridotte al lumicino.
Risultato oggi, dopo quattro anni? Inflazione raddoppiata, 15 milioni di poveri, PIL in calo del 5,8 per cento nel primo trimestre 2019 con un crollo degli investimenti (-24,6 per cento), delle importazioni (-31 per cento) e del consumo privato (-10,5 per cento) oltre a un aumento della disoccupazione, la più alta mai registrata negli ultimi 14 anni. Non bastasse, il presidente uscente ha anche indebitato per 57 miliardi di dollari l'Argentina con il Fondo Monetario Internazionale, quello stesso Fmi considerato da molti argentini tra i massimi responsabili del default 2001.
Un disastro su tutta la linea insomma per chi era considerato dagli argentini «l'uomo giusto» per curare il Paese dai tanti mali del kirchnerismo, a cominciare dalla corruzione senza precedenti e dall'autoritarismo nei confronti di stampa indipendente ed oppositori.
Fernández (Alberto) promette che la sua priorità sia combattere la povertà, oggi al 35,4 per cento, con un 7,9 del «pueblo» nella miseria più nera mentre per l'Indec, l'Istat locale, le entrate pro capite in Argentina sono di 13.400 pesos al mese, meno di 200 euro. Da vedere come e, soprattutto, se ci riuscirà.
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