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"L'attacco sembra un segnale al Wfp. Informatori nelle Ong per i miliziani"

L'ex sottosegretario agli Esteri: "Il rischio è stato troppo sottovalutato"

"L'attacco sembra un segnale al Wfp. Informatori nelle Ong per i miliziani"

«Luca, nel mio ricordo, era Dio, Patria e Famiglia. Dio perché si era formato all'oratorio ed era un cattolico osservante. Era Patria perché ovunque arrivasse trasformava il consolato o l'ambasciata nella casa degli italiani. Famiglia perché quando parlava delle sue tre figlie e di sua moglie gli si inumidivano gli occhi. Con lui l'ambasciata di Kinshasa era diventata la dimora di tutti gli italiani». L'ex sottosegretario agli esteri Alfredo Mantica, oggi vice presidente di Avsi, un'organizzazione umanitaria presente a Goma, conosceva bene l'ambasciatore. «Luca - racconta - ha iniziato la sua carriera nella mia segreteria. Quel ragazzo laureato alla Bocconi, ma curioso, affamato di conoscenza e pronto a rinunciare a tutto per il lavoro, mi è immediatamente piaciuto e siamo rimasti in contatto».

Qualcosa non le quadra?

«Mi pare strano che chi l'accompagnava si sia mosso senza scorta. Certo le organizzazioni umanitarie, e anche il Wfp, non amano avere attorno gente armata. Però se devi portare in giro un ambasciatore è diverso. E che ci fosse lui su quell'auto lo sapevano tutti. La sera prima era a cena con novanta persone al ristorante e aveva detto domani vado su. Doveva visitare una scuola dove la nostra Cooperazione finanzia un progetto del Wfp per la distribuzione del cibo».

Era una missione indispensabile?

«Necessaria per vedere come l'Onu spende i soldi dei nostri contribuenti. Luca era molto meticoloso».

Quindi era una missione ufficiale?

«Certo! Per questo mi stupisce che l'Onu con 20mila caschi blu nella Regione e un budget da un miliardo all'anno abbia detto che la strada era sicura e non serviva scorta. E mi sembra ancor più strano che si muovessero con sole due auto in una zona dove i rapimenti sono all'ordine del giorno e un bianco vale centinaia di migliaia di dollari. Mi chiedo anche che fine hanno fatto tre funzionari dell'Onu che risultano spariti nell'attacco. Mi sembra ci sia stata una sottovalutazione del rischio. Con un elicottero dell'Onu l'avrebbero portato alla scuola in un quarto d'ora anziché affrontare una trasferta di tre ore su una strada insicura».

Qualcuno può aver segnalato le sue mosse?

«Tra gli espatriati e dentro le Ong tutti sapevano dell'arrivo dell'ambasciatore e, probabilmente, i suoi programmi. I miliziani hanno i loro informatori tra il personale delle Ong. Quindi il programma di Luca non era un segreto. Di certo l'attacco è stato pianificato».

Il governo poteva/doveva proteggerlo meglio?

«No. Nel Congo il nostro unico diplomatico era lui e non c'è una struttura d'intelligence. In realtà come quelle puoi affidarti alle comunità locali, alle autorità locali o a una forza terza come l'Onu. Ma l'Onu è quello che ha dato per sicura la strada. Poi girano anche altre versioni».

Ad esempio?

«Una racconta che l'attacco era un segnale al Wfp. In un Paese dove la distribuzione del cibo significa la vita o la morte di una comunità e di chi ci vive, questo ha un senso. Se fosse vero Luca si è trovato al posto sbagliato, nel momento sbagliato.

E questo spiegherebbe perché nessuno ha rivendicato l'attacco».

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