L'avvocatessa e il boss: la rete di Messina Denaro
3 Febbraio 2021 - 07:53"Stidda" organizzata in semilibertà da Antonio Gallea, mandante del delitto Livatino
«Questo non potevate toglierlo dal mezzo?» Non usa mezzi termini l'avvocata di Canicattì Angela Porcello, legale del boss Giuseppe Falsone, divenuta consigliera di Cosa nostra.
È la compagna di un mafioso e ha assunto ruoli organizzativi al punto da mettere a disposizione il proprio studio per importanti summit con pezzi grossi (i capi dei mandamenti di Canicattì, della famiglia di Ravanusa, Favara e Licata, un ex fedelissimo del boss Bernardo Provenzano di Villabate e il nuovo capo della Stidda), elargendo rassicurazioni sull'assenza di cimici.
È una mafia che si riorganizza, scardinando i propri paletti al punto da dare linfa alla Stidda che si è ricompattata attorno alle figure di due ergastolani tornati in semilibertà: Antonio Gallea capomafia e mandante dell'omicidio del giudice Livatino, che ha persino sfruttato i premi previsti per chi è condannato all'ergastolo per tornare a operare sul territorio, e Santo Gioacchino Rinallo. È una mafia che punta al controllo in tutti i campi, perché «la presenza è potenza», estendendo i propri interessi soprattutto sui settori più remunerativi, estorcendo denaro e punendo chi osa opporsi al punto da organizzare 2 omicidi di imprenditori, sventati dai carabinieri. È una mafia che si muove sottotraccia seguendo «l'inabissamento quale regola di vita» così come insegnava Bernardo Provenzano.
Che i confini della legalità oggi sono più che mai labili lo ha messo bene in chiaro l'operazione «Xydy» dei carabinieri del Ros coordinata dalla Dda di Palermo, che ha portato a 22 fermi e il ventitreesimo è a carico del super latitante Matteo Messina Denaro, punto di riferimento decisionale dell'organizzazione. Tra gli arrestati non c'è, infatti, solo l'avvocata, che sfruttava la sua posizione per fare da mediatore tra i boss in carcere e l'esterno, ma persino un poliziotto e un assistente capo. Il secondo, in servizio nel carcere di Agrigento, ha concesso all'avvocata di portare il cellulare durante gli incontri col suo assistito e di rispondere alle telefonate.
Dall'inchiesta emerge anche il paradosso di una mafia che si erge a baluardo dell'ordine, in una Sicilia che, secondo le confidenze del boss Falsone all'avvocata «senza il polso della mafia si formeranno situazioni di piccolo banditismo che sarà micidiale».