Il leader dei librai: "C'è chi chiede “Il fu Matia Bazar"

"E anche La massoneria delle allodole oppure un'opera di madre Teresa Ruta". Da 135 anni alle prese con i clienti più difficili: i lettori. "I festival letterari? Inutili"

Il leader dei librai: "C'è chi chiede “Il fu Matia Bazar"

Come la casa costruita sulla roccia, anche «el cantón del Galla», eretto sulla pietra d'angolo fra corso Palladio e via Cesare Battisti, dove un tempo il decumano rappresentato dalla via Postumia intersecava il cardo romano, resiste da 135 anni alla pioggia, ai venti e agli straripamenti del Bacchiglione. Solo i bombardamenti alleati che nel 1944 martoriarono la più bella strada di Vicenza sembrarono porre fine alla storica libreria fondata da Giovanni Galla nel 1880, oggi appunto ribattezzata Galla 1880. Invece, sotto il diluvio di fuoco, «el cantón» fece fiorire nel corso del tempo, come per partenogenesi, altre librerie Galla, spuntate in corso Palladio pochi numeri civici più in su, al 43, o più in giù, una all'11 e una al 12, e in viale Roma, e all'ombra della Basilica Palladiana, e a Valdagno. Compresa quella di libri per bambini, Girapagina, che Alberto Galla aprì nel 2001, a un mese esatto dalla nascita della primogenita Maria Vittoria: un festoso trigesimo all'incontrario.

L'ultimo tenutario del «cantón del Galla» resiste impassibile, con quattro diverse sedi, anche al ciclone che sta squassando l'editoria, motivo per cui ai colleghi è sembrato doveroso eleggerlo fino al 2017 presidente dell'Ali, l'Associazione librai italiani associata alla Confcommercio. Appare però assai più stupefacente la flemma gioconda con cui questo vicentino di 55 anni, sposato da 16 con Maria Elena, anche lei libraia («si presentò per un colloquio di lavoro: appena la vidi, non capii più niente e la assunsi all'istante»), padre di due figlie, sopporta le più bizzarre richieste che gli vengono dai pochi e spesso occasionali clienti, tutte puntualmente registrate in un quadernetto degli orrori: «Mi dà Il fu Matia Bazar di Pirandello?». «Cerco Il castello di Kafka ma non ricordo l'autore». «Vorrei La massoneria delle allodole». «Mi piacerebbe regalare un'opera di madre Teresa Ruta». «Avete Se fosse un uomo?». «Di questo libro conosco l'Iban», sarebbe l'Isbn, il codice che identifica i volumi, ma fa niente. Galla è sempre pronto a riportare sulla retta via anche i lettori in cerca della Pastorella americana (che sarebbe la Pastorale americana di Philip Roth) o della Coscienza di Svevo, alias Zeno.

La libreria Galla è una delle poche in Italia appartenenti alla stessa famiglia da oltre un secolo e anche una Srl in cui dall'anno scorso figura la catena Libraccio. «Che io ricordi, sono rimasti solo il grande Ulrico Hoepli a Milano; i Fogola a Torino, che però mi pare stiano chiudendo; i Tarantola nel Bellunese, eredi degli ambulanti partiti da Pontremoli che diedero vita al premio Bancarella; i Brustolon della libreria Canova a Treviso». Alberto è l'unico dei Galla ad aver ripreso il mestiere del bisnonno Giovanni. Il fondatore ebbe 11 figli, fra cui Tito, che fu tra i primi deputati del Regno e sindaco di Vicenza. Soltanto uno dei essi, Enrico, scelse di seguire le orme paterne. Ma la cultura è sempre stata un affare di famiglia: fra i nipoti del patriarca, si annoverano i partigiani Benedetto e Nello Galla, due dei «piccoli maestri» protagonisti dell'omonimo romanzo-verità di Luigi Meneghello, il secondo trucidato a 22 anni dai nazifascisti sull'altopiano di Asiago.

Il padre di Alberto, Mariano Galla, che per le sue doti di sapienza ed equanimità a Vicenza tutti chiamano avvocato benché non lo sia, a 90 anni è ancora presidente della società Galla 1880. Però nella vita ha fatto altro: presidente della Fiera, assessore comunale, dirigente della Confindustria, sindaco di Arcugnano nonché salvatore di una cassa rurale, la Banca del Centroveneto di Longare. Il pomeriggio, intorno alle 16, arriva in libreria e vi rimane a far flanella sino alla chiusura, per la gioia degli habitué, ai quali dispensa consigli e battute.

Anche il figlio sarebbe dovuto diventare avvocato. Ha frequentato giurisprudenza all'Università di Padova e a Parma. Sennonché nel febbraio 1981 il padre lo spedì nella libreria di piazzetta Palladio a sostituire una parente che doveva assentarsi per un intervento chirurgico. Galeotto fu il libro. Chiuse le pandette, il giovanotto si buttò per sempre sui romanzi. Nel 1984 venne ammesso fra i 30 selezionatissimi allievi al primo corso della Scuola per librai Umberto ed Elisabetta Mauri di Venezia. «Mi trovai a contatto con i mostri sacri del ramo, provenienti dalle più vetuste librerie d'Italia. Se ora mi volto indietro, mi viene la pelle d'oca: Flaccovio di Palermo, chiusa; Guida di Napoli, in liquidazione; Marzocco di Firenze, chiusa; Borghello di Milano, chiusa; Di Stefano di Genova, chiusa; Draghi di Padova, chiusa».

Pianto greco.

«Un centinaio di librerie defunte nell'ultimo triennio: fuori dai centri commerciali ne restano sì e no 1.500. Cinque milioni di copie in meno dal 2012 a oggi. Il fatturato cala ogni anno del 5 per cento. Su 60 milioni d'italiani, solo 22 milioni comprano almeno un libro l'anno, 8 milioni ne comprano da uno a due, 10 milioni da 3 a 11 e 2,8 milioni più di 12. Tutti gli altri nemmeno un libro».

Torino, Mantova, Pordenone, Roma, Modena, Genova... Ci sono più saloni e festival letterari che lettori.

«Manifestazioni autoreferenziali che non fanno vendere una sola copia in più. Servono solo a sfamare chi le organizza. Non basta: queste kermesse drenano i fondi degli sponsor, a cominciare dal Mibac. Tanti soldi. Ma tanti tanti, eh. Mentre le biblioteche non hanno un euro per comprare nuovi libri. E dove non c'è lettura, non c'è mercato».

Che cosa si potrebbe fare invece con questi soldi?

«La Spagna era nelle nostre stesse condizioni, ma il Plan de fomento de la lectura varato dal ministero dell'Educazione ha dato un impulso straordinario alle vendite di libri. Idem la Francia con la legge Lang, che impedisce uno sconto superiore al 5 per cento sul prezzo di copertina. Da noi tutti i governi promettono ma non fanno nulla. Dopo vent'anni di attesa, nel 2011 è arrivata la legge Levi, dal nome di Ricardo Franco Levi, braccio destro di Romano Prodi. Una presa per i fondelli: stabilisce che gli sconti siano contenuti entro il 15 per cento, ma presenta mille falle per aggirarla».

Perché gli italiani sono il popolo che legge meno in Europa?

«L'alfabetizzazione di massa è cominciata da poco, praticamente negli anni Sessanta con il maestro Alberto Manzi e il suo Non è mai troppo tardi in televisione. C'è anche un fattore climatico: siamo il Paese più a nord del sud del mondo. Infatti siamo ridotti come la Grecia. Roma e Atene, le due culle della civiltà. Bel paradosso, vero?».

Gli italiani non leggono più nulla, neppure i giornali. Guardano e basta: la tv, il pc, il cellulare, il tablet.

«La superficialità attrae, la sostanza allontana. I ragazzi arrivano in prima media, sono costretti ad affrontare i grandi classici e fuggono a gambe levate dalla lettura. I programmi vanno rivisti».

Gesualdo Bufalino non si faceva illusioni: «Che ci vuole a scrivere un libro? Leggerlo è la fatica».

«Cesare Marchi diceva che la vera fatica non è né scriverlo né leggerlo, bensì venderlo».

Se stampare un libro di 500 pagine costa meno di 2 euro, com'è che lo fate pagare dieci volte tanto?

«La tipografia incide per lo zero virgola, è vero. Ma la filiera è lunga. L'editore si prende circa il 10 per cento, idem l'autore, le librerie un 30. Il 50-60 per cento se ne va per promozione e distribuzione. La logistica ha costi folli. Ha notato che le lattine di Coca-Cola e delle altre bibite sono diventate tutte lunghe e strette?».

Che c'entra?

«Si guardi attorno: nel mio negozio non troverà un solo libro che sia uguale a un altro per formato. E questa difformità comporta costi di gestione altissimi. Arrivano 175 nuovi titoli al giorno, contro gli appena 55 del 1980. Fanno 63.000 l'anno. La sfido a farceli stare tutti».

Riuscisse a venderli...

«Campa cavallo. Del 30 per cento delle opere, non va via neanche una copia, si rende conto? Fra gli autori che hanno mercato, più della metà vendono una sola copia. È questo il lavoro del libraio. Più facile fare il ferramenta. Su quell'unica copia, fra l'altro, ti giochi il rapporto con il cliente, il quale viene qui, non la trova e, quando gli proponi di fargliela arrivare in 24 ore, ti risponde “no, grazie” e se la ordina online sul telefonino sotto i tuoi occhi».

Siccome dovete pagare subito i libri che gli editori vi mandano, salvo rendere l'invenduto mesi dopo, per non spendere voi ordinate solo i bestselleristi o gli autori che vi garbano.

«È la sapienza del nostro lavoro. A dispetto degli algoritmi, sappiamo già chi comprerà quel certo libro di catalogo».

Nel caso di Galla 1880, chi?

«Il cliente ideale è il professor Giuseppe Longo, che insegna italiano e latino nel liceo classico dove ho studiato anch'io, il Pigafetta. È sempre qui, compra di tutto. Tenuto conto di quanto poco guadagnano gli insegnanti, un eroe».

Con Amazon ordino tutto quello che voglio, libri inclusi, con la consegna a domicilio in 24 ore, pagando solo 9,90 euro l'anno di spese postali. Chi me lo fa fare di venire da Galla?

«Qui però abbiamo 12 bei librai, in larga maggioranza ragazze».

Jeff Bezos, a differenza di lei, si accontenta di guadagnare l'1 per cento, pur di portare la quota di mercato della sua Amazon al 100 per cento.

«Sì, ma gli piace vincere facile. Su quello che vende in Italia, paga le tasse in Lussemburgo. Le poche che paga. Comunque per Bezos la soddisfazione del cliente è tutto. Da lui c'è solo da imparare. Ci sono in giro troppi bottegai scorbutici».

Che cosa decreta il successo di un libro? Il titolo?

«Anche. Ma soprattutto il marchio di fabbrica. Prenda il giallista Marco Malvaldi. Era uno studente della Normale di Pisa, non se lo filava nessuno. Sellerio gli ha pubblicato La briscola in cinque nel 2007 e da quel momento è diventato un fenomeno. Perché la casa editrice palermitana è una garanzia».

Le recensioni sui giornali contano?

«Dipende dai recensori».

Indro Montanelli affidava a Mario Cervi un nuovo libro ricevuto da uno scrittore amico, dicendogli: «È così brutto che se ne può parlare bene».

«Oggi il recensore più quotato è Antonio D'Orrico. Il quale ogni tanto genera anche mostri, lo dico ironicamente. Penso per esempio al compianto Giorgio Faletti, da tutti snobbato all'inizio».

Perché Sveva Casati Modignani vende da anni come una dannata?

«Ha un target di donne over 60 gratificate da storie sentimentali rassicuranti».

Un evergreen tuttora richiesto?

«Il Gattopardo».

Quali premi letterari apprezza?

«Il Campiello mi pare il meno sputtanato. Fossi romano, direi lo Strega».

Aiutano a vendere?

«Pare impossibile, ma sì. Raggiungono l'altra faccia della luna, quella rappresentata dai non lettori».

«I libri possono servire per sedercisi sopra. La mia ignoranza è la mia cultura». Oliviero Toscani dixit.

«Non ci sono commenti per l'esaltazione dell'ignoranza».

Si ricorda la sua prima lettura da bambino?

«E come no! Il lampionaio. Lei mi dirà: che libro è? Una specie di Piccola fiammiferaia al maschile. Avrò avuto 6 anni. Subito dopo I ragazzi della Via Pál».

Un autore che non può mancare in ogni casa che si rispetti?

«Le sorelle Brontë. E Fëdor Dostoevskij».

Ettore Petrolini sosteneva d'aver imparato da un solo libro: il vocabolario. La stessa cosa che mi diceva Giulio Nascimbeni: «Lo Zingarelli è il mio preferito, ogni giorno lo sfoglio e apprendo sempre qualcosa di nuovo».

«Gli italiani non sanno scrivere perché non leggono, questo è un fatto».

Che resta della Vicenza di Goffredo Parise?

«Niente. Manco il prete bello. Guido Piovene? I giovani non sanno nemmeno che è esistito. Fernando Bandini? Morto. Virgilio Scapin? I suoi romanzi sono esauriti, nessuno li ristampa, neppure la Neri Pozza che ha sede qui e fino a vent'anni fa li pubblicava».

L'e-book ucciderà il libro di carta?

«No, perché un volume fisico è un oggetto perfetto. Non si spegne mai, non perde i dati, accetta le sottolineature, ti lascia fare le orecchie alle pagine».

Ci sono scrocconi che vengono a leggere i libri a rate nel suo negozio?

«Pochi. Abbiamo aperto un bar e messo le poltrone per rendergli la vita comoda».

Non è noioso starsene tutto il giorno in questo cimitero di pagine morte?

«Ma quali morte!».

(734. Continua)

stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

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