Era il 25 luglio 2016. Erano passati solo 40 giorni dall'operazione a cuore aperto di Silvio Berlusconi quando Vincent Bollorè, patron di Vivendi, decise di recedere dal contratto per l'acquisto della pay tv Mediaset Premium.
Il finanziere bretone, che di Berlusconi era amico di lunga data, decise di colpire in un momento di debolezza il fondatore e patron della prima tv commerciale italiana. «Mi ha sconcertato - ha detto Berlusconi nel libro di Bruno Vespa Soli al comando di cui Panorama dà oggi una anticipazione - Ho sempre considerato il signor Bollorè un imprenditore serio, con il quale pensavo fosse possibile una collaborazione in un mercato, come quello della comunicazione televisiva, nel quale si ragiona in termini di grandi player capaci di operare internazionalmente. Sarebbe convenuto a entrambi i gruppi lavorare insieme». Invece le cose non sono andate così perché il 25 luglio dell'anno scorso, a pochi mesi cioè dalla firma del contratto per l'acquisto di Premium e la realizzazione di un polo europeo per la produzione di film e serie tv capace di contrastare l'arrivo sulla piazza del vecchio continente di concorrenti temibili nella tv a pagamento come Netflix, Vivendi ha deciso di fare marcia indietro. Ma oltre a colpire in un momento difficile per Silvio Berlusconi e tutta la sua famiglia, Vivendi ha usato anche frasi offensive.
«Premium è un McDonald, non un ristorante a tre stelle» aveva detto l'ad di Vivendi (e oggi presidente Telecom) Arnaud de Puyfontaine. Il risultato fu il crollo del titolo Mediaset in Borsa. Una mossa forse calcolata, visto che la Consob sta indagando per aggiotaggio. Vivendi infatti cominciò a rastrellare azioni Mediaset a prezzi di saldo (salendo fino al 29,9%) violando anche l'impegno scritto a non acquistare titoli del Biscione oltre il 5% nel biennio. Una clausola che comunque dimostra le cautele berlusconiane verso il modus operandi di Bolloré.
Per Berlusconi comunque «non si tratta solo di rispetto delle leggi e dei contratti, che già è un criterio fondamentale ma anche della parola data». Quanto alle possibili soluzioni sulla disputa tra i due gruppi i contatti certamente ci sono ma, fino ad oggi, niente di concreto è ancora emerso. Per Mediaset, del resto, l'unica data certa è il 19 dicembre, ossia il giorno della prima udienza presso il tribunale di Milano per discutere il maxirisarcimento da oltre 3 miliardi chiesto a Vivendi. «Come Fininvest (la holding di famiglia che controlla il Biscione, ndr) abbiamo dovuto difenderci e reclamare insieme a Mediaset il rispetto dei patti - ha detto Berlusconi a Vespa - I miei figli e i nostri manager lo stanno facendo nel modo migliore. La ragione sta dalla nostra parte, e non potrà non esserci riconosciuta. Ma, comunque vada a finire, sul principio secondo cui accordi e contratti si possono non rispettare non possiamo e non vogliamo transigere». Quanto a Telecom, controllata da Vivendi al 23,4%, secondo Berlusconi «il governo italiano ha fatto bene a ricorrere al cosiddetto Golden Power per porre dei limiti ai francesi».
E Mediaset? «Resterà italiana e sempre della mia famiglia - garantisce Berlusconi - i canali generalisti sono i soli a fare grandissimi numeri.
La moltiplicazione delle offerte di film e di ogni genere di spettacoli non rende più appetibile la televisione a pagamento, che si regge ormai soltanto sugli eventi sportivi, mentre per il resto è destinata a un pubblico limitato di utenti. Va così in tutto il mondo».
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