Un Patriot Act all'italiana, una legge speciale come quella che negli Stati Uniti, dopo l'attacco alle Torri Gemelle, mise da parte alcune garanzie costituzionali in nome della lotta al terrorismo. Di fronte alla sequenza inarrestabile di attentati sul suolo europeo, nel giro di due giorni sulle prima pagine del Giornale e del Corriere della Sera sono state invocate nuove norme che consentano di usare le maniere forti contro militanti e fiancheggiatori della jihad. Come era inevitabile, l'idea fa discutere, e divide gli addetti ai lavori. Sia nella parte in cui Alessandro Sallusti indica come precedente di riferimento le norme varate negli anni di piombo contro i terroristi nostrani, «chi veniva sospettato di eversione armata perdeva alcuni diritti in essere per altre tipologie di criminali»; sia quando sul Corriere Ernesto Galli della Loggia lancia addirittura l'idea di mettere una taglia sulla testa dei terroristi.
All'interno della magistratura, continua ad essere ampiamente prevalente la linea di chi ritiene che le norme attuali siano più che sufficienti. Dice Armando Spataro, procuratore della Repubblica a Torino: «Si tratta di una tendenza che ciclicamente compare in Italia di fronte ad ogni emergenza. Ritorna l'immagine della zona grigia in cui i diritti sono sospesi in nome della sicurezza. Spesso - aggiunge Spataro - tra l'altro ci si imbatte in evidenti imprecisioni. Nell'intervento di Galli della Loggia, ad esempio, si invocano premi per la delazione (è questo il significato che lo stesso autore attribuisce al termine taglia da lui utilizzato, altrimenti non commentabile) e trasformazione del reato di favoreggiamento in partecipazione a banda armata per i fiancheggiatori dei terroristi. Ma evidentemente si dimentica che già esistono incisive leggi che premiano i collaboratori. Ma sorprende anche l'evocazione da parte del direttore Sallusti delle leggi eccezionali che furono approvate durante gli anni di piombo: trascura il direttore che quelle leggi inclusa quella per i pentiti - non furono affatto eccezionali ma si limitarono a favorire il contrasto specialistico di quel terrorismo (sconfitto nelle aule di giustizia e non negli stadi, come disse Pertini), senza ledere alcun diritto degli imputati. E si dimentica, soprattutto, che quelle leggi sono quasi tutte ancora in vigore, e sono state anzi rinforzate, contro il terrorismo internazionale».
Ma alcuni segnali raccontano che anche tra le toghe sta facendo breccia la convinzione che una sospensione di alcune garanzie sia inevitabile. «Il problema - racconta un magistrato milanese a patto di non essere nominato - è che in questo momento bisognerebbe mettere in discussione anche alcuni passaggi della Costituzione e della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Ma se osi accennarlo, i miei colleghi ti sbranano». E però c'è anche chi con nome e cognome si spinge fino a un punto impensabile fino a poco tempo fa: spezzare una lancia a favore d Gunther Jakobs, il giurista tedesco che ha lanciato l'idea di utilizzare contro i terroristi un «diritto penale del nemico», diverso dal diritto applicato al cittadino. Chi non accetta di far parte della collettività, sostiene in sostanza Jakobs, non deve poterne condividere le garanzie: una rivoluzione copernicana contro cui si sono scagliati in blocco garantisti italiani ed esteri. Ma a prendere le difese di Jakobs è ora un magistrato italiano, Giovanni Tartaglia Polcini, pm a Benevento, «prestato» nel 2014 al governo. «È il tempo delle risposte, è il momento di reagire - scrive sulla rivista dell'Eurispes - non è seriamente possibile proporre di risocializzare un estremista islamico che predica e pratica lo stragismo».
E i poliziotti? Per Andrea Tonelli, segretario del Sindacato autonomo di polizia, non ci sono dubbi: «Serve più
determinazione servono norme più incisive. E nel frattempo servirebbe smettere di mentire spudoratamente agli italiani come fa il ministro Alfano, quando dice che 65mila poliziotti hanno auto corsi di aggiornamento antiterrorismo».
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