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L'elezione di Netanyahu al governo di Israele è una garanzia di libertà e non una minaccia

Il mondo grida al fascismo, ma sui diritti il presidente si è sempre distinto

L'elezione di Netanyahu al governo di Israele è una garanzia di libertà e non una minaccia

L'esaltazione della democrazia nella sua più plastica manifestazione, le elezioni, svanisce come il gatto di Alice quando a vincere le elezioni non è la sinistra. Gli elettori diventano allora, col nuovo potere, un pericolo pubblico, il doppio standard impazza. Adesso, le prime pagine dei giornaloni liberali nel mondo, dopo le elezioni israeliane sono entrate in una specie di lutto corale, dichiarando la morte della democrazia dello Stato d'Israele e prevedendone una svolta aiutoritaria, illiberale, xenofoba, islamomofoba. Fascista! «Una catastrofe», è quello che secondo il Financial Times può diventare la robusta vittoria di Benjamin Netanyahu del 1° novembre per cui in questi giorni si organizza un governo di 64 seggi su 120 grazie a una coalizione di centrodestra, col Likud conservatore e liberale di Bibi (31 seggi al Likud), i partiti religiosi che totalizzano 19 seggi e il famigerato Partito Sionista Religioso del terribile Itamar Ben Gvir, 14 seggi. Da Le Monde al Washington Post al Financial Times al New York Times, alla Cnn e alla Bbbc, a Israele stanno crescendo le zanne che la trasformeranno in un'entità spregevole: Le Monde già invita le istituzioni internazionali e i singoli Paesi a rivedere tutti i rapporti. Il Financial Times attribuisce a una «cinica manovra» il successo di Ben Gvir e del suo collega di partito Smotrich. Ma questa è la vittoria di Netanyahu. Ben Gvir dovrà rispondere alle norme per cui Netanyahu ha fatto in undici anni di Israele un paese liberale, sovrano, coi simboli ebraici (la lingua, lo Shabbat), le feste nazionali e religiose, ma amica degli LGTBQ e con la pace fra i suoi valori centrali. Il Pride di Tel Aviv è il maggiore del mondo, l'eguaglianza dei diritti è obbligatoria. Netanyahu non derogherà dal retaggio che gli ha oltretutto consentito di concludere i patti di Abramo e di creare la start-up nation. Cresce la religiosità, vero, ma in parallelo anche il liberalismo. Ben Gvir ha portato a casa tanti voti perché il governo in carica non ha saputo affrontare la sofferenza del cittadino comune, la serqua incessante di attentati: solo nell'ultima settimana tre. La sommossa recente della componente araba, la violenza con gli slogan di «Morte agli ebrei« a Ramla, a Lod, a Haifa, le sassaiole, le bombe molotov, il fuoco, hanno suscitato un senso di insicurezza, a fronte delle regole restrittive della polizia e dell'esercito. Ben Gvir ha pubblicamente sconfessato il suo passato (quanti nel mondo possono dichiararsi degli eterni compassati liberali?) e benché agitato e retorico, non ha chiamato né alla sovversione delle regole della democrazia né alla punizione collettiva degli arabi. Ha chiesto un Paese più severo, degli organi dello Stato più duri, e persino una riforma della magistratura. Certo, è di destra sulla pena di morte per i terroristi, ma anche gli Usa ce l'hanno: non è una buona cosa ma non c'entra il fascismo. Netanyahu mai accetterà, da liberale, che la libertà venga intaccata, che la religione diventi legge oltre il limite, lui che è laico. La questione degli LGTBQ: Ben Gvir si è rimangiato le stupidaggini maschilistiche, ha dichiarato che se suoi figlio fosse gay lo abbraccerebbe. Amir Ohana, un eccellente ministro dei governi Netanyahu, è un gay dichiarato. I diritti umani si dimenticano quando si dice di tremare per i palestinesi, da decenni sotto un regime dispotico che li sacrifica e perseguita il dissenso finanziando il terrore. Esso ha causato la reazione popolare israeliana.

Adesso, è tempo per Israele di cercare la calma, nonostante gli isterismi mondiali.

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