Leone ha indossato diligentemente la storia

Auto blu, vesti, simboli: si uniforma alle tradizioni pre Francesco

Leone ha indossato diligentemente la storia
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La mozzetta rossa sulle spalle e la stola cerimoniale in oro ricamata a fili sacri. Nel 2013 Bergoglio, che dallo stesso balcone di San Pietro stava per farsi conoscere al mondo come Francesco, si era affacciato vestito di bianco, con solo una fascia purpurea attorno alla vita. Iniziando di fatto, attraverso le vesti, la sua rumorosa rivoluzione dentro la Chiesa.

Robert Francis Prevost, Leone XIV, si è «rivestito da Papa». Ha indossato la tradizione disseminata di tutti i suoi simboli ma lo ha fatto come si indossa una divisa: per non apparire, per «mettersi in scia». Difficilmente la declinerà in sofisticati vezzi (deliziosa «debolezza» del granitico Ratzinger-Benedetto che si fece confezionare le scarpe rosse dall'artigiano piemontese Adriano Stefanelli e che inizialmente furono attribuite addirittura a Prada). Leone XIV si è vestito con tutto ciò che il protocollo ha messo a disposizione nella Sala delle Lacrime e lo ha fatto con una precisione sorprendente. Ma non per mettersi in primo piano, non per posizionarsi al centro, quanto piuttosto il contrario. Per omaggiare Roma, lui che viene dall'America, i riti e la solennità che lo hanno accolto. L'americano ha indossato diligentemente la storia: la veste talare bianca come quella di Francesco (confezionata dal sarto Raniero Mancinelli con cinque metri di fresco lana italiano, esattamente lo stesso tessuto scelto da Bergoglio), ma sopra, ci ha messo tutti i simboli possibili. La mozzetta di velluto rosso, la stola cerimoniale con i ricami dorati (che peraltro, non è passato inosservato, ha indossata fin da subito), il rocchetto in pizzo bianco, la croce pettorale d'oro appesa al collo (la stessa di Ratzinger, Francesco aveva quella d'argento che portava già da vescovo), l'anello del Pescatore già infilato all'anulare e le scarpe nere (quelle rosse sono un «simbolo» ormai dismesso da anni). Ha ridato un Papa alla Grande Bellezza, più per onorarla che per mostrarsi. Perché più che nei paramenti, nei gioielli, nel discorso dalla Loggia delle Benedizioni, dell'auto blu sulla quale è arrivato nel Palazzo del Sant'Uffizio, lo stile di Leone XIV è stato chiaro in un passaggio della sua omelia di ieri: «... Sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato».

D'altra parte i Cardinali lo descrivono come una persona «timida e riservata». Le telecamere di tutto il mondo che lo hanno inquadrato, spiato, zoommato, «scorticato» alle 18.08 di giovedì scorso, hanno insistito su un paio di occhi lucidi e di mani tremanti.

Nei nostri occhi, invece, davanti a Leone XIV sono tornate le immagini dei Papi di «un tempo» alle quali l'informalità sistematica di Francesco ci aveva disabituati. Anche per questo, forse, Robert Francis Prevost ci sembra già familiare. È il Papa che siamo stati abituati a vedere fin da piccoli, nelle immagini di repertorio dei tg, nelle foto appese nelle cucine delle anziane zie.

Ri-habemus Papam: con i gesti contenuti, la voce morbida, le parole misurate, in «uniforme» come nelle scuole quando non si vuol far prevalere gli uni sugli altri, dove spiegano che si parte tutti uguali e poi si vedrà, a seconda di ciò che si ha da dimostrare. Esattamente come il nuovo Leone d'America chiamato a condensare il meglio dei due Papi della storia più dissimili tra loro: Benedetto e Francesco.

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