Un altro passo verso il delinearsi di blocchi contrapposti a livello globale. Blocchi che in un prossimo futuro potranno confrontarsi anche a livello bellico. Tira una brutta aria. La sfida dell'asse autoritario russo-cinese alle democrazie liberali occidentali è sempre più esplicita, ma a partire dall'Ucraina sta ottenendo una risposta coesa e chiara, guidata dagli Stati Uniti. E dalla Cina di Xi Jinping arriva un segnale altrettanto chiaro: rafforzeremo il nostro arsenale nucleare per scoraggiare gli americani dall'intervenire in difesa di Taiwan.
A Pechino l'hanno capito. Biden non solo non intende consentire a Vladimir Putin di assoggettare l'Ucraina, ma punta a mettere in ginocchio il suo regime. E questo non solo per impedire a Putin di portare avanti il suo piano imperialistico nell'Europa orientale, ma anche per mandare un chiaro segnale al suo alleato globale Xi: la vostra sfida è raccolta, e se la Cina pensa di poter fare a Taiwan quello che la Russia sta facendo all'Ucraina, raccoglierà gli stessi frutti velenosi.
Alla «alleanza di ferro» tra Cina e Russia che è diseguale nello stesso modo in cui lo fu l'asse tra Berlino e Roma ottant'anni fa Biden contrappone ormai apertamente una Nato globale. L'America, questo è il segnale che arriva dalla Casa Bianca, sta rapidamente cambiando dottrina, ed è in grado di tenere aperti due fronti contemporaneamente, uno europeo e uno sul Pacifico. Per questo, con i suoi alleati europei, manda sempre più armi a Kiev, correndo il rischio crescente di coinvolgimento nel conflitto. Per questo, al vertice Nato della settimana scorsa, erano presenti accanto ai Trenta non solo i rappresentanti di Ucraina, Georgia, Finlandia e Svezia, ma anche quelli di quattro Paesi di quella parte di mondo che insieme con Washington vuol contenere Pechino: Giappone, Australia, Nuova Zelanda e Corea del Sud. Quella stessa Corea che pochi giorni fa, per bocca del suo nuovo presidente Yoon Suk-yeol, ha chiesto agli americani di fornirle armi nucleari per proteggersi dalle mire del Nord di Kim Jong-un, altro esempio di dittatore che ha deciso di schierarsi.
Il mondo rischia dunque di scivolare verso una guerra? Tira una brutta aria, lo ripetiamo. Il Putin che non fa nulla salvo mandare i suoi diplomatici a mentire davanti al mondo per nascondere l'estrema brutalità del suo esercito in Ucraina agisce come chi ha deciso di bruciarsi i ponti alle spalle; e lo stesso vale per i deliri ufficiali sulla «denazificazione» dell'Ucraina, che coprono una volontà di violenta assimilazione. Lo Xi che si rifiuta di condannarlo e che ribadisce di voler usare la forza contro Taiwan suona la stessa lugubre musica. Il consigliere dello «zar» Sergei Karaganov ha appena confermato i veri obiettivi di Putin e del suo alleato cinese: usare ogni mezzo a livello globale per far cadere il sistema di equilibri internazionale che regge il mondo da quando, trent'anni fa, l'Unione Sovietica è collassata. Non lo riconosciamo più, ha detto il consulente del Cremlino, in Ucraina abbiamo cominciato a usare la forza per abbatterlo. Andremo avanti, non ci interessa l'ideale occidentale di pace eterna, finiremo in braccio alla Cina ma non ne siamo preoccupati perché la Russia vince sempre.
Putin ha scelto la guerra, e non si fermerà in Ucraina. Aspetterà nuovi sviluppi in Europa per scegliere il momento che crederà più favorevole per colpirci. Intanto, spera in una vittoria di Marine Le Pen in Francia, sospinta da un'onda antiamericana rossobruna che lui stesso ha suscitato.
E dopo questo terremoto che rischia di spaccare l'Ue ben più della Brexit, scommette sul colpo grosso: il ritorno del suo ammiratore Donald Trump alla Casa Bianca il 20 gennaio del '25. A partire da quel giorno le profezie cupe di Karaganov («Nessuno vi difenderà, l'America farà i suoi interessi») potranno purtroppo avverarsi.
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