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L'esercito dei saggi che lascia tutto al Fai-da-te

L'esercito dei saggi che lascia tutto al Fai-da-te

Niente di deciso. Per tutto il giorno queste tre parole hanno accompagnato le indiscrezioni sulla relazione della task force guidata da Vittorio Colao. Quella chiamata al capezzale dell'Italia strangolata dal lockdown per cercare di salvarla con una cura rivoluzionaria. E finita inevitabilmente per prescrivere un placebo. Niente di deciso, si diceva, perché in realtà - come si sospettava e come si scopre ora - il dream team di esperti non ha mai avuto alcun potere decisionale. Doveva solo fornire «linee guida» sulla riapertura. Ci si attendeva un protocollo, un piano dettagliato, un vademecum di misure efficienti. È arrivato un documento dove - il condizionale è d'obbligo nell'era della comunicazione istituzionale a colpi di bozze - ci si limita a fornire una vision generale, con alcuni punti cardine. Primo: il 27 aprile ripartono le aziende che sono in condizione di farlo. Niente di diverso dalla «riapertura fai da te» di cui abbiamo già detto su queste colonne. Tutto delegato al buonsenso degli imprenditori e delle rappresentanze dei lavoratori. Molto liberale, ma per concepirlo bastava un sottosegretario, non 17 saggi. Secondo: consentiti gli spostamenti al di fuori del comune (ma all'interno della regione) per motivi urgenti. Se così fosse, la semplice fotografia di quanto accade già oggi. Terzo: l'idea di non fare tornare al lavoro i 60enni. Una misura dettata dalla mortalità più elevata del virus tra gli over 65, ma che sembra talmente assurda che difficilmente passerà. Significherebbe decapitare una generazione di classe dirigente, dai manager ai capitani d'azienda, fino agli artigiani e ai professionisti. Privarsi del lavoro di chi detiene le competenze, oltre ad essere mortificante e offensivo e probabilmente anti-costituzionale, significa tagliare il tronco su cui poggiano molti rami promettenti. E senza tronco, niente frutti. Quarto: il meccanismo a fisarmonica. Dal 4 maggio torneranno a muoversi 2,5 milioni di italiani. A seconda di come evolveranno i numeri di contagi e ricoveri in terapia intensiva, si potranno aprire anche negozi, bar e ristoranti oppure richiudere in alcune zone. Tradotto: è il meccanismo «vediamo come va».

Il che è sacrosanto, ma anche lapalissiano. Come previsto, i contrasti di competenze fra task force e comitati e la ritrosia del governo a delegare poteri hanno di fatto edulcorato le potenzialità di Colao & C. Costringendoli a servire un brodino annacquato, condito di moniti e un pizzico di laissez-faire. Per la sostanza (la app sarà obbligatoria? Come moltiplicare i mezzi di trasporto? Ci sarà il lavoro notturno e domenicale anti-assembramenti?), ripassare: ci stiamo ragionando, vi faremo sapere, niente è deciso. La sintesi la dovrà fare Conte che, da quanto mostrato in questi mesi, ha tanta paura di decidere almeno quanta voglia ha di dimostrare che il commander in chief guida il Paese con mano ferma e ciuffo baldanzoso. E che, a occhio, finirà per lasciare alle Regioni la patata bollente dell'immenso caos materiale e logistico della ripartenza. Nel frattempo, mentre «niente è deciso» e «riparta chi può», le spietate sfere dell'economia continuano a girare, imperturbabili alle linee guida.

Scaduti i due mesi di sospensione concessi dal fisco, agli italiani - già alle prese con termometri in fabbrica e distanziamento a spanne -, arriveranno presto otto milioni di cartelle esattoriali. Senza contare la minaccia più grande, ovvero il potenziale downgrade con cui Standard & Poor's domani potrebbe declassare i titoli di Stato italiani a spazzatura, rendendone impossibile l'acquisto da parte della Bce, facendo esplodere lo spread e condannandoci così a una crisi senza precedenti. Preparate altre task force, ne avremo bisogno.

Ma stavolta cambiate le regole di ingaggio.

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