L o schiaffo all'Italia, tecnicamente, è sul caso Contrada. Ma in prospettiva potrebbe essere la chiave che apre la cella in cui Marcello Dell'Utri è rinchiuso dal 13 giugno del 2014, per scontare la pena definitiva a sette anni che gli è stata comminata, dopo un'altalena processuale durata vent'anni, a Palermo. La Corte europea dei diritti dell'uomo ha infatti rigettato la richiesta del governo italiano di rinviare alla Grande Chambre il verdetto dell'aprile scorso con cui l'Europa ha stabilito che la condanna di Bruno Contrada, l'ex 007 che ha scontato dieci anni per concorso esterno in associazione mafiosa, era ingiusta perché violava l'articolo 7 della Convenzione europea dei diritti umani. Per la Corte il reato, quella strana alchimia italiana che unendo due articoli del codice, il 110 (concorso) e il 416 bis (associazione mafiosa) dà vita al concorso in associazione mafiosa, non era sufficientemente chiaro e consolidato dal punto di vista della giurisprudenza sino al 1994. E dunque in base al principio del nulla pena sine lege , nessuna pena per una legge che non esiste o non esisteva all'epoca dei fatti contestati, Contrada non doveva essere condannato. Il principio vale per l'ex poliziotto, che ha scontato la condanna. Ma vale a maggior ragione per tutti gli imputati di concorso esterno in associazione mafiosa che sono in carcere per fatti antecedenti al '94. Come appunto l'ex senatore Dell'Utri, che per il periodo successivo al 1992 è stato assolto definitivamente.
Il «no» alla richiesta di rinvio del governo rende subito definitivo il verdetto del 14 aprile 2015, che ha stabilito che condannando Contrada non sono stati rispettati i principi di «non retroattività e prevedibilità della legge penale». Il governo aveva presentato il ricorso lo scorso 14 luglio, la decisione è arrivata due giorni fa, il 14 settembre. «Il rigetto - sottolinea il professor Andrea Saccucci, che con il professor Bruno Nascimbene e l'avvocato Giuseppe Di Peri segue l'ex senatore Pdl - dimostra che i giudici, diversi da quelli del verdetto di aprile, non hanno ravvisato nessuna “cantonata” (così ad aprile definì il verdetto europeo l'ex pm Antonio Ingroia, accusatore tanto di Contrada che di Dell'Utri, ndr ), nessuna svista. Questa decisione certifica che la condanna per concorso esterno subita per fatti antecedenti al 1994 è in violazione di legalità. E una condanna inflitta in violazione di una norma sostanziale è una condanna che non può essere eseguita».
Dell'Utri, detenuto da oltre un anno a Parma, rientra perfettamente nella fattispecie. Le collusioni coi boss che gli sono state contestate prendono il via a metà degli anni '70 ma si fermano al 1992. Ben due anni prima del termine fissato dalla Corte europea. Come procedere adesso? «Seguendo le indicazioni della Corte costituzionale in una situazione simile - spiega il professor Saccucci - chiederemo un incidente di esecuzione per la declaratoria dell'inesecutività della condanna».
Anche Contrada, che col suo ricorso ha dato la stura a questo verdetto che, caso Dell'Utri a parte, può avere
effetti dirompenti, è soddisfatto: «Ora la sentenza dev'essere recepita dalla giurisdizione italiana». Per la condanna, ormai scontata, a lui non serve. Ma forse per la revisione del processo, più volte chiesta invano, sì.
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