Politica

L'Europa trombona che non sa riconoscere i suoi sbagli

Domanda del giorno: i cittadini europei sono impazziti o stanno rinsavendo? Guardiamo i fatti. Nelle varie elezioni svoltesi nel continente, sono cresciuti a dismisura i partiti euroscettici e antieuropeisti tout court. In Polonia hanno vinto i nazionalisti, che considerano l'euro carta straccia; in Spagna, grande affermazione di Podemos, populisti (per usare un termine scorretto ma in voga) di sinistra; in Grecia comandano quelli di Syriza, strampalati ribelli di ispirazione comunista guidati dal primo ministro (...)

(...) Alexis Tsipras; in Francia, Marine Le Pen punta in alto; in Italia, Beppe Grillo non cala nonostante le note tribolazioni dei pentastellati, e Matteo Salvini è protagonista di un'ascesa vertiginosa; in Inghilterra, Madre della democrazia, David Cameron è impegnato nell'organizzazione di un referendum, per smammare dalla Ue; e sorvoliamo su altri Paesi che danno segni di insofferenza alla politica comunitaria.

Che significa tutto ciò? Leggendo i giornali italiani e i commenti dei politici romani, sembra che il problema dei malumori nelle citate nazioni sia un rigurgito di sciovinismo. I movimenti definiti populisti, in sostanza, sarebbero una sorta di cancro le cui metastasi si estendono in ogni angolo d'Europa, creando i presupposti della cattiva salute dell'intera istituzione Ue.

Secondo noi la diagnosi è errata. Il populismo non è la malattia, bensì un sintomo. Non sono i Paesi in cui fioriscono sentimenti ostili all'Unione a doversi curare: è l'Europa che versa in condizioni penose, debilitata com'è da una burocrazia cieca, pesante, capace solo di frenare le economie dei partner, obbligandoli a soggiacere a diktat illogici che li spremono per favorire i tedeschi.

La Ue si comporta da maestrina arrogante: bacchetta chiunque, convinta di avere sempre ragione, e invita gli scolaretti negligenti a fare autocritica; non si chiede nemmeno per scherzo se essa stessa abbia dei torti, crede di essere infallibile quando, invece, non ne ha mai azzeccata una. Eppure se chi è in cattedra viene contestato con tanta ferocia dalla scolaresca, dovrebbe essere assalito dal dubbio di avere commesso degli errori. Zero. Non è mai successo che i tromboni al vertice dell'Unione abbiano recitato il mea culpa, malgrado la loro gestione sia tradizionalmente così sgangherata da apparire in molte circostanze addirittura ridicola, oltre che controproducente.

Da anni, ormai, essi trattano con la Grecia affamata e in balia di governanti stolti ma senza trovare lo straccio di una soluzione, manco buttare gli ellenici fuori dalla Comunità per palesi inadempienze. Non si rassegnano all'evidenza: Atene non ha un soldo da tempo immemorabile, però i notabili di Bruxelles non lo vogliono capire e seguitano a pretendere di cavare denaro dove non ce n'è. Cosa aspettano ad assumere una decisione definitiva? Non si rendono conto che certi minuetti sono stucchevoli e immiseriscono la credibilità di chi li esegue. Se Podemos, Cinque stelle, Lega, Syriza, perfino i conservatori di Cameron, Le Pen e i nazionalisti polacchi affermano di essere intenzionati a sbattere la porta della Ue, non viene il sospetto alla Merkel e ai suoi sudditi di aver fallito con la strategia del rigore?

Per non parlare dell'euro, una specie di totem, un santino adorato, giudicato irreversibile e pertanto eterno in un mondo in cui tutto si logora, muta e si esaurisce. Sono 18 i Paesi che malauguratamente l'hanno adottato, ciascuno dei quali ha esigenze diverse. Come si possa pensare che la moneta unica vada bene per 18 governi difformi è inconcepibile, estraneo alla logica cartesiana. I segnali che l'intera impalcatura europea si regga sulla tutela degli interessi di pochi a scapito dei popoli sono numerosi. Si odono scricchiolii sinistri tipici di una struttura in procinto di cedere e di schiantarsi. Prepariamoci al peggio nella speranza di limitare i danni.

Fuggire dalla dittatura dell'euro sarebbe già una conquista importante: quella della libertà.

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