L'ex uomo di Veltroni adesso ammette: «Presi soldi da Buzzi»

Odevaine, vicecapo di gabinetto dell'allora sindaco arrestato nell'inchiesta Mafia Capitale, sentito per ore dai pm. «Per il re delle coop ero un facilitatore»

L'ex uomo di Veltroni adesso ammette: «Presi soldi da Buzzi»

Un «facilitatore». Così si definisce l'ex braccio destro di Walter Veltroni, Luca Odevaine, nel faccia a faccia con i pm romani dell'inchiesta «Mafia Capitale» che a dicembre ne avevano chiesto e ottenuto l'arresto.

Accompagnato dal suo legale, Luca Petrucci, Odevaine ieri è rimasto per tre ore e mezza con i magistrati, ai quali ha reso dichiarazioni spontanee. Confermando per la prima volta d'essere stato sul libro paga di Salvatore Buzzi, l'ex capo della «coop 29 giugno», il «rosso» che per la procura era l'alter ego del «nero» Massimo Carminati al vertice di Mafia Capitale. E spiegando d'aver intascato 5mila euro al mese per fare da «facilitatore» per l'uomo che dalla coop rossa fondata in carcere aveva costruito un impero.

Uno dei temi sui quali i pm volevano lumi da Odevaine era il suo ruolo al Tavolo sull'immigrazione del Viminale. Per la procura quell'incarico, che Odevaine sottolinea spesso con i suoi interlocutori nelle intercettazioni, era uno dei motivi che avrebbe invogliato Buzzi a «comprare» l'ex collaboratore di Veltroni e di Nicola Zingaretti. E lui stesso, ascoltato in ambientale, sembrava confermare la sensazione, spiegando di essere «in grado un po' di orientare i flussi» degli immigrati proprio in virtù di «questa relazione continua con il ministero». Per Buzzi, che ha rivelato quanto sia fruttuoso il business degli immigrati («Il traffico di droga rende meno», spiega l'uomo della «29 giugno» intercettato), la cosa non poteva che risultare molto allettante.

Ieri però Odevaine e il suo legale hanno minimizzato la portata di quell'incarico, fornendo documentazione che proverebbe come quel «Tavolo» al ministero dell'Interno fosse solo un organismo tecnico che avrebbe prodotto «un documento ogni due anni», e che non avrebbe avuto poteri per «indicare dove smistare i flussi di immigrazione». Così, ai pm che a quel punto gli hanno chiesto a che pro Buzzi gli avesse versato cinquemila euro al mese per tre anni, Odevaine ha spiegato che i soldi erano il prezzo per il suo ruolo di «facilitatore». Quando Buzzi aveva un problema con un appalto, un centro di accoglienza o con qualsiasi cosa, lui si metteva all'opera per risolverlo e «spicciare i problemi» al capo della «29 giugno» utilizzando la sua rete di conoscenze.

Una rete fitta, quella di Odevaine, intessuta con pazienza in anni e anni di lavoro nelle istituzioni locali. Prima in Campidoglio come uomo di fiducia di Veltroni, poi come capo della polizia della Provincia, che all'epoca era guidata dal futuro governatore del Lazio, Zingaretti. E infine - anche tralasciando il tavolo del Viminale - come consulente per il Cara di Mineo, importante centro siciliano di accoglienza per rifugiati, nodo nevralgico per i flussi degli immigrati, accolti lì dopo gli sbarchi e prima di ulteriori smistamenti.

Una rete di relazioni e rapporti della quale proprio Odevaine si vanta più volte, intercettato. «Sanno che ci ho delle relazioni, sanno che lavoravo con Zingaretti», dice a proposito di un appalto miliardario con la Regione Lazio nella sanità a cui miravano Buzzi&co e per il quale Odevaine voleva coinvolgere coop rosse e bianche, Manutencoop e Cascina.

Un appalto su cui l'ex governatore Francesco Storace aveva chiesto lumi con un'interrogazione a dicembre scorso, e tornato d'attualità in questi giorni. Per quella gara si è dimesso mercoledì il capo di gabinetto di Zingaretti, Maurizio Venafro, indagato e citato in quelle intercettazioni come l'uomo «nelle cui mani», secondo Odevaine, era la «gestione della gara».

di Massimo Malpica

Roma

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