Un secolo fa, il 18 gennaio 1919, Don Luigi Sturzo (1871-1959) con il suo Appello ai Liberi e Forti fondò il Partito popolare italiano. Fu un momento epocale all'interno della storia politica italiana. Il Non expedit, del 1874, promulgato da Pio IX - il divieto ai cattolici di partecipare alla politica del regno invasore - veniva così definitivamente superato. Non più con un accordo tra vertici politici e religiosi come con il patto Gentiloni del 1913 ma con la nascita di un partito che voleva avere le sue radici nel popolo. Si trattava di un programma profondamente innovativo che si presentava sulla scena politica proprio in uno dei momenti più difficili per il Paese dove gli estremismi del biennio rosso e la controrivoluzione mussoliniana dei Fasci di combattimento si stavano preparando a darsi apertamente e sanguinosamente battaglia.
Il progetto di Sturzo voleva invece portare l'Italia in tutt'altra direzione. Ce lo siamo fatti raccontare dal massimo esperto del pensatore cattolico: il professor Flavio Felice, ordinario di Storia delle dottrine politiche all'Università degli studi del Molise e autore di svariati saggi e articoli su Luigi Sturzo.
Professor Felice, perché è fondamentale per la storia italiana la fondazione del Partito popolare il 18 gennaio 1919?
«Sturzo decide di far nascere il Partito popolare dopo un percorso di 14 anni. Una gestazione che parte con il suo discorso a Caltagirone pronunciato il 24 dicembre del 1905. In quel discorso formulava per la prima volta l'idea di una presenza dei cattolici in politica che superasse il Non expedit. Le idee sviluppate in quegli anni sono tre. La prima era la necessità di una presenza nazionale dei cattolici e non solo a livello locale. La seconda era l'idea di un modello basato sul municipalismo e non più sull'idea di uno Stato monopolista e fortemente centralizzato a cui pensavano le correnti politiche del liberalismo dell'epoca. La vera base del potere avrebbe dovuto essere la società civile nel suo insieme. La terza idea era quella di superare il monopolio dei socialisti sulla classe del proletariato. Tutte queste idee trovano sviluppo definitivo nell'Appello ai Liberi e Forti».
Quell'appello per l'epoca era un oggetto politico dirompente?
«Certo, parlava ad un'Italia uscita provata dalla Grande guerra e che iniziava ad essere preda delle violenze del biennio rosso e dei nascenti fasci di combattimento. Spingeva i cattolici ad unirsi e ad assumersi la responsabilità del governo del Paese dopo un auto isolamento durato anni. E soprattutto a farlo in modo nuovo, autonomo sia rispetto alle gerarchie ecclesiastiche sia rispetto ai gruppi di notabili che avevano controllato la politica sino a quel momento. Proponeva un partito di cattolici ma non dei cattolici. Cattolici impegnati in politica per il bene comune non a favore di interessi, nemmeno quelli delle gerarchie ecclesiastiche».
Sturzo proponeva un'idea di politica decisamente nuova...
«Spezzava la tradizione del notabilato liberale. Il popolare nel nome del partito intendeva proprio far riferimento al popolo in tutte le sue sfaccettature. Attraverso la riforma agraria, la libertà scolastica e il municipalismo, si voleva rendere il popolo l'attore principale della politica».
Sturzo era federalista?
«Lo era sin dal 1901 e sosteneva di condurre una guerra federalista. Era contrario a ogni uniformismo culturale. E non era un federalismo che partiva dalla questione meridionale o puramente economico. Voleva un federalismo orientato a Sud, un federalismo che tutelando i corpi intermedi e le differenze facesse l'interesse di tutto il Paese».
Idee davvero poco compatibili con il fascismo...
«Sturzo fu antifascista sin dall'inizio. Poi dopo la sua invettiva del 1923 il regime lo isolò facendo pressione sulle gerarchie ecclesiastiche. Lui scelse l'esilio».
Cosa ha mutuato Sturzo dai suoi anni in Inghilterra e negli Usa?
«Ha avuto la possibilità di veder funzionare nella pratica le idee che aveva assimilato con lo studio ad esempio di Rosmini. A Londra amava lo Speakers' Corner di Hyde Park. Era per lui un esempio di quello che chiamava il metodo della libertà. Amava anche lo scarso numero di poliziotti e di divise che vedeva per le strade... Voleva uno Stato non minaccioso».
L'Appello ai liberi e forti è stato da poco citato da Silvio Berlusconi. È ancora attuale per la nostra politica?
«È attuale l'idea di popolo come realtà plurale e non omogenea. In questo senso il popolo diventa il limite del potere e non uno strumento di potere come nel populismo. È attuale anche l'idea di un partito dei cattolici che però non dipenda dalle gerarchie della Chiesa. C'è poi tutto il tema di un vero federalismo che valorizzi le comunità e le particolarità. Un federalismo, ribadisco, ben diverso da un federalismo solo economico. Insomma la proposta di Sturzo è ancora tutta da realizzare e quindi attuale...».
Quindi il popolarismo di Sturzo è ben diverso dal populismo?
«Nel popolo, per la concezione di Sturzo, risiedono il limite organico al potere, il limite morale - dato da scuola e famiglia - e il
limite istituzionale. Insomma il popolo non è mai stampella del principe. Semmai il popolo è la critica costante al principe al fine di indirizzarlo. Siamo molto lontani dal populismo e dalla fascinazione per il leader».
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